Monday, January 23, 2006

NON SOLO DROGA: LE MOLTE FACCE DELLA DIPENDENZA

219Di Luigi Janiri (professore di psichiatria Università Cattolica) e tratto dal bimestrale di cultura e dibattito della stessa università Vita & Pensiero.[1]

La dipendenza sembra proprio essere una condizione del nostro tempo. Quale volto hanno assunto, oggi, le tossicodipendenze? Esauritasi la fase dell’eroina come droga esclusiva, stiamo assistendo a nuove ondate epidemiche di tossicomania come quella della cocaina, al ritorno degli allucinogeni, alla “normalizzazione”della cannabis, alla disponibilità di droghe low cost come gli inalanti, alla diffusione di sostanze etniche e perfino “fai-da-te”, sostanze progettate a tavolino per miscelarne in modo ottimale gli effetti e che si possono comprare via Internet o sintetizzare a casa seguendo le istruzioni reperite sempre in rete.
Non più la massificazione di costumi imposti da un’unica regia, bensì l’illusione di una scelta di paradisi artificiali personalizzati in base a una sorta di consumismo da “supermarket”.
Da tutto ciò discendono due importanti conseguenze:
le tossicodipendenze dei nostri giorni sono rappresentate soprattutto dall’uso, contemporaneo o sequenziale, di più sostanze (poliabuso),
a causa degli effetti psicoattivi di una varietà considerevole di sostanze abusate, aumentano i casi di “doppia diagnosi”, in cui un disturbo psichiatrico vero e proprio si instaura contemporaneamente alla patologia da uso, la dipendenza, frutto di un incontro tra predisposizione del soggetto e una disponibilità di oggetti gratificanti nell’ambiente, è una forma psicopatologica moderna la cui origine risiede in un’alterazione mentale e che il vertiginoso aumento della sua frequenza è un esempio di come mutino nel tempo le condizioni affinché tale alterazione possa giungere a esprimersi.
La dipendenza sembra corrispondere a un costrutto psicopatologico unitario, il cui nucleo strutturale si identifica con i seguenti elementi:
il craving come desiderio compulsivo, irrefrenabile;
la perdita di controllo su di esso;
l’astinenza cioè il disagio fisico o psicologico per la sottrazione acuta dell’oggetto;
i fenomeni di assuefazione (riduzione nel tempo dell’effetto gratificante o piacevole) o, di sensibilizzazione (aumento dell’effetto nel tempo);
il restringimento del repertorio comportamentale, nel senso di un uniformarsi dei comportamenti quotidiani e dello stile di vita a causa della crescente importanza della ricerca, del procacciamento, dell’uso e del venir meno dell’oggetto;
il deterioramento dell’area psicosociale, inteso come uno scadere progressivo del funzionamento lavorativo, relazionale, familiare etc. del soggetto.
È evidente che tale costrutto è basato su un modello di relazione tra soggetto e oggetto e che quest’ultimo è in qualche misura intercambiabile o associabile: ciò vuol dire che un eroinomane può diventare un giocatore patologico, che una bulimia può diventare alcolista e che queste condizioni possono coesistere secondo un principio evolutivo di aggiunta, arrivando per questa via alla doppia diagnosi o, come tecnicamente si dice, alla “comorbilità” psichiatrica della dipendenza.
La dipendenza viene raggiunta attraverso stadi intermedi a partire dalla normalità, in base a un continuum lungo il quale troviamo l’abitudine, l’abuso, fino alla dipendenza psichica e fisica .
Le sostanze possiedono la proprietà di produrr effetti più o meno piacevoli, ai sintomi psico-comportamentali e alla stessa dipendenza fisica, con i suoi attributi di tolleranza (assuefazione farmacologica) e di astinenza.
Ma la dipendenza è sempre patologica? Ebbene sì, se essa configura uno stato psicologico rigido, fisso, dalle conseguenze distruttive che si impossessa della vita di una persona e gli sottrae interessi, passioni, progetti. Esistono anche dipendenze fisiologiche, come quelle tra madre e bambino e tra psicoterapeuta e paziente, che nella fase in cui sono attive hanno le medesime caratteristiche di quelle patologiche, me se ne distinguono per essere costruttive, limitate nel tempo e funzionali a un particolare scopo.
Negli ultimi anni l’interesse verso il concetto di dipendenza si è andato estendendo dall’oggetto “sostanze” (farmaci, droghe, ma anche cibo) all’oggetto “comportamenti”.
In alcune forme l’oggetto sembra essere una stimolazione sensoriale (videodipendente), in altre una modalità di eccitamento comportamentale (dipendenze sessuali, Internet addiction), talvolta legato ad aspetti economici (shopping compulsivo, gioco d’azzardo patologico), in altre ancora un tripodi relazione interpersonale (dipendenze affettive, co-dipendenza). In altri casi la dipendenza coinvolge comportamenti e abitudini socialmente condivise: attività fisica, lavoro (il cosiddetto workaholism); si ammette che lo stesso stress possa divenire oggetto di dipendenza.
Sembra dunque ormai acquisito che alcuni comportamenti, oggetti e situazioni, capaci di procurare piacere, sempre più spesso perdono la loro funzione sociale per “schiavizzare” (vedi termine anglosassone addiction, letteralmente “dedizione”, dal latino addictio, “schiavitù”) l’essere umano, il quale non riesce più a esercitare su di essi alcun tipo di controllo. Il meccanismo che genera le “nuove” dipendenze sarebbe allora caratterizzato da un’escalation di comportamenti sempre più trasgressivi e rischiosi, al fine di ottenere nel tempo il medesimo effetto stimolante ed euforizzante, o sedativo di vissuti ansiosi e depressivi, stabilizzante rispetto a oscillazioni dell’umore e instabilità del comportamento.
Se la dipendenza è un dato strutturale della personalità, una vulnerabilità che proviene dalla storia individuale e dalla famiglia d’origine, è l’esposizione agli eventi stressanti e traumatici e il fatidico incontro con l’oggetto che innescano la dipendenza patologica e trasformano i tratti del carattere in sintomi.
Certamente alcuni aspetti della personalità sono più a rischio di altri di essere additive cioè di indurre dipendenza: ad esempio, la ricerca della novità e delle sensazioni, la propensione al rischio, il bisogno prevalente di stimoli esterni. Questi aspetti possono essere del tutto fisiologici, ma a un certo livello il soggetto perde il controllo sui propri impulsi.
Dipendenza come disturbo mentale, come condizione esistenziale, come tratto di personalità, come modalità di relazione tra un soggetto e un oggetto: quale di queste definizioni rappresenta meglio la realtà umana, ancor prima che clinica? Alcune considerazioni conclusive permetteranno di inquadrare la questione più adeguatamente:
- la dipendenza fa parte del necessario e naturale bagaglio esperienziale dell’uomo; tuttavia si descrivono a partire dalla normalità linee di deriva che conducono alla dimensione sintomatologica e morbosa;
- la predisposizione individuale origina precocemente: dai genitori o da altri membri della famiglia con problemi di dipendenza, da un attaccamento patologico, da uno sviluppo traumatico, da un ambiente educativo inappropriato, da un clima emotivo insano in famiglia, dalla formazione di una personalità a “rischio” etc.;
- le occasioni e gli eventi della vita possono scatenare una dipendenza patologica;
- lo sfondo culturale su cui tutto ciò avviene è altrettanto determinante ed è responsabile della drammatica attualità di questo disturbo.
Il percorso che si viene così tracciando rinvia a una realtà complessa, multifattoriale, articolata, per la quale la deriva patologica della dipendenza assume i connotati di un’organizzazione mentale e di un’esperienza catastrofica, nel senso del suo essere immane, irreversibile, indelebile, un’esperienza che segna a vita: non a caso nelle riunioni di Alcolisti Anonimi chi prende la parola, anche a distanza di anni dall’ultima bevuta, si presenta sempre e ancora come un “alcolista”.

[1] L’intero testo è disponibile sul bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica. Novembre/Dicembre 2005, anno LXXXVIII

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