Thursday, January 26, 2006

un concentrato della mia tesi di laurea: LA PROGETTAZIONE PEDAGOGICA NEL CONTESTO PENITENZIARIO

Uscire dal carcere non è che l’inizio.
Evadere dal proprio passato,
questa è la vera sfida.
Ronan Bennet: La seconda prigione


Il mio lavoro di tesi ha preso in esame una vera e propria Istituzione e la possibilità di poter operare all’interno attraverso una progettazione degli interventi.
Si tratta, infatti, della C.C. (Casa Circondariale) San Vittore di Milano situata in pieno centro cittadino e precisamente in Piazza Filangieri 2, in zona Sant’Ambrogio.
Un carcere in piena città?
Forse un modo per sensibilizzare la gente, un input dal quale partire per costruire una “via d’uscita” per chi ha l’impressione di essere, ormai, solo e solamente in un vicolo cieco.
Perché prendere in considerazione e analizzare, per quanto possibile, una realtà come quella carceraria le cui dinamiche sono spesso ampie e complesse?
Probabilmente proprio perché, dal mio punto di vista, è importante conoscere una realtà che esula da una visione di “normalità” che pervade la nostra quotidianità.
Conoscere per cercare di e imparare a capire.
Comprendere come una sola Istituzione possa inglobare in sé una molteplicità di associazioni preposte al raggiungimento di un unico obiettivo: il recupero e ancor più il reinserimento a pieno titolo del detenuto nella società.
Il senso della pena non fine a se stessa, ma funzionale a tale scopo ( ex. Art. 27 Cost. :
“la responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.”).

Questo lavoro si suddivide in quattro capitoli e in ciascuno di questi si cerca di sviluppare una “problematica”, ma il filo comune, quello che lega il testo è l’importanza di progettare in un contesto detentivo che ha come punto di riferimento una norma costituzionale per cui sopra ogni cosa c’è la dignità personale e il suo rispetto.
Nel primo capitolo viene preso in considerazione il senso e la possibilità di una progettazione nell’agire pedagogico.
Progettualità come tensione verso, strumento di sintesi tra soggettività ed oggettività, tra singolarità e pluralità e progettazione come quella serie di atti che rendono visibile e verificabile il processo educativo in base al quale si definiscono ruoli, contesti e ambiente culturale.
L’ultima parte del capitolo è invece dedicata al contesto specifico detentivo e alla C.C. San Vittore.
Nel secondo capitolo si parte col notare che prima dell’Illuminismo la pena era vista come mera punizione, spesso anche fisica e con punte di atrocità estreme, dove spesso il crimine era paragonato al peccato senza un distaccamento del diritto dalla morale.
In Italia, invece, sorgono e si sviluppano due scuole di pensiero contrapposte (classica e positiva) e dal loro incontro si svilupperà il cosiddetto sistema del doppio binario.
Sempre presente il dibattito tra funzione punitiva e/o funzione retributiva della pena, infatti, la compresenza delle due funzioni (privare della libertà il soggetto che ha violato le regole della convivenza sociale e nel medesimo tempo trasformarlo, attraverso tecniche di cambiamento, per restituirlo all’esterno socialmente riadattato) è derivante da una persistente dicotomia: da una parte un modello di retribuzione -castigo- riparazione del delitto, risalente ad un meccanismo punitivo; e dall’altra si consolida un’esigenza rieducativi, risocializzante consolidata con l’entrata in vigore del nuovo Ordinamento Penitenziario del luglio 1975 e Regolamento di esecuzione DPR 230/2000, n.230.
Nel terzo capitolo lo sguardo è rivolto all’educatore quale figura professionale e all’educazione intesa come processo dinamico e all’educazione per gli adulti intesa come educazione permanente, long life education, un’educazione che accompagna il soggetto dai primi stadi evolutivi per tutta la vita.
Siamo in un’ottica globale della persona, un’ottica unitaria che quindi non può essere scissa.
La figura invece dell’educatore penitenziario nasce nel 1975 con l’entrata in vigore del nuovo Ordinamento Penitenziario il cui obiettivo primario è il reinserimento del detenuto, la riduzione della cosiddetta recidiva e l’aumento delle sicurezze da parte della società.
L’ingresso ufficiale di questa figura è datata 1979 anno del primo concorso.
L’ultimo capitolo idealmente si divide in due parti: la prima in cui si analizza il rapporto tra detenuti tossicodipendenti e la seconda che prende in esame il progetto “La Nave” della C.C. San Vittore di Milano.
Ci si chiede se e come il contesto detentivo possa aiutare un soggetto legato ai problemi della tossicodipendenza o se non rimane un mero “parcheggio” per questi soggetti che presto o tardi torneranno al “loro mondo”.
Spesso infatti il carcere più che rieducare sviluppa una vera e propria scuola di criminalità e rischia di diventare una fabbrica di soggetti incompatibili con la società, quindi, in una sorta di spirale, il carcere riproduce se stesso all’infinito in quello che si può definire un processo schismogenetico.
Nella seconda parte del capitolo si prende in considerazione, come già detto prima, il progetto La Nave: riparto dal reparto, che è nato nel luglio del 2002 all’interno della C.C. San Vittore di Milano.
Il nome dato al reparto è NAVE perché metaforicamente simboleggia il percorso della nave che salpando da un porto naviga fino al raggiungimento di un altro porto in cui attraccare.
L’obiettivo principale è quello di inserire l’esperienza carceraria tra un prima e un dopo in un percorso di crescita nella motivazione al cambiamento, cercando si fare del tempo in carcere un tempo che possa essere riempito di senso e non solo di attesa.
Un tempo per ricostruire il tempo, una crescita personale in quanto in educazione il cambiamento è mutazione, crescita, evoluzione che dipende da diversi fattori: dalla volontà del soggetto, dalle cause che provocano il cambiamento, dalla relazione che si instaura tra il soggetto e gli altri (operatori inclusi).
L’intento è quello del raggiungimento di una piena autonomia e responsabilizzazione degli ambienti e degli spazi (ecco ad esempio la sala pc-biblioteca e il corridoio), non solo per quanto riguarda la condivisione del materiale, e la partecipazione alle attività, ma circa anche l’attivazione costante e continua nel proporre, costruire, cambiare e discutere.
Un ambiente che non nasconda la realtà carceraria ma che si pone per la prima volta come oggetto che si può modificare: il tempo e lo spazio ricominciano ad avere un senso del quale faticosamente bisogna riappropriarsi: un avvicinamento all’esperienza del “fuori”, in un momento in cui si sta progettando il “fuori”.
È ovvio che trattandosi di problematiche legate alla tossicodipendenza non è sempre facile la gestione della quotidianità e dei rapporti interpersonali, ma la voglia di riscatto, di rimettersi in gioco e sfidarsi in quella che è la corsa sulla strada della propria vita diventa l’obiettivo a cui tendere, la meta da raggiungere per recuperare un posto che a ciascuno spetta di diritto nella società e quella dignità di persona mai persa, forse solo scalfita dalla piaga della dipendenza qualunque essa sia.
In conclusione si può affermare che ciascun Istituto Penitenziario è strutturato secondo una propria logica e secondo una propria “filosofia”.
Si tratta di un dato non necessariamente negativo che in ogni caso dimostra come, per poter operare adeguatamente all’interno di un Istituto, sia necessaria una certa conoscenza del singolo contesto.
È importante leggere la specificità dei singoli istituti in una logica circolare.
Oggi l’identità di un luogo di pena si costruisce non solo attraverso i meccanismi auto-referenziali dell’istituzione totale, ma anche attraverso l’integrazione con quanto esiste fuori.
Ciò che avviene all’interno del carcere dipende dall’offerta che l’esterno propone quando fa progetti e circolarmente ciò che l’esterno offre è legato a quanto l’istituzione è in grado di chiedere.
Proprio in questa dinamica risiede uno dei nodi critici più importanti che interessa trasversalmente tutti gli istituti penitenziari quando si parla di attività trattamentali intra ed extra murarie: in che modo si determina l’esigenza interna di trattamento e in che modo le offerte formative si possono realmente connettere con il mercato del lavoro esterno.
La definizione dei bisogni e le conseguenti priorità richiedono l’adozione di una strategia di sistema.
Strategia che tenga conto di una dimensione partecipativa reale da tutti gli interlocutori che oggi dispongono di un’esperienza in questo settore: non si tratta infatti di definire chi dovrebbe occuparsi di questo (è chiaro che questo è compito istituzionale), ma piuttosto di “come” si possa impostare un sistema di analisi del bisogno, programmazione e valutazione in modo tale da garantire la condivisione di alcune politiche, la definizione di criteri valutativi, la trasparenza dei processi.
Un ulteriore elemento di riflessione che emerge nel prendere in esame la realtà degli istituti penitenziari è l’importanza dei ruoli educativi all’interno del carcere.
Laddove questi ruoli sono esercitati in modo adeguato è più facile disporre di maggiore opportunità e di una maggiore connessione anche con le realtà esterne.
Ho voluto con questo lavoro mettere in evidenza una realtà complessa e poco familiare, ma allo stesso tempo affascinante come quella degli Istituti Penitenziari.
Il lavoro certamente non è completo, ma è sufficiente quanto meno a rendere un’idea generale su questo tipo di struttura.
Come già detto è necessaria una stretta e proficua collaborazione tra le diverse strutture che operano nello stesso ambito.
Al centro vi è la persona del detenuto quindi tutto quello che si fa, lo si fa per lui e senza ledere i suoi diritti di essere umano, di persona.
Massimo rispetto per la dignità, per l’integrità fisica e morale del soggetto.
La pena non ha solo ed esclusivamente una funzione afflittiva, ma soprattutto rieducativa e risocializzante, ed è per questo che almeno una parvenza di figure istituzionali preposte a questo scopo ci sia (anche se pare che “ai piani alti” non sia ancora ben chiaro questo concetto....come mai sono più di dieci anni che non viene bandito un concorso per educatori in Istituti Penitenziari?)[1].
Per quanto riguarda il San Vittore posso affermare, avendo svolto anche il tirocinio formativo, che molto si sta facendo [nella sezione penale, per esempio, è collocata la redazione del giornalino, magazine due, che prende il tale numero dalla piazza nella quale è ubicato l’istituto (per i milanesi il due connota proprio il carcere)], che la volontà e la voglia di fare ci sono (almeno per quanto riguarda l’esterno che all’interno lavora).
Devo ammettere che il San Vittore è un contesto carcerario molto più aperto rispetto a tanti altri e che questo agevola e favorisce un intervento “educativo” più efficace.
È forse però necessaria una maggior formazione della Polizia Penitenziaria che non dovrebbe svolgere solo funzione di controllo.
Anche essa dovrebbe essere una risorsa e un aiuto all’area e per l’Area Pedagogica.
Il San Vittore, come qualsiasi altro contesto penitenziario, rimane un contesto da VIVERE, CAPIRE, SCOPRIRE.
Tutto quello che posso dire è che è fondamentale non lasciarsi prendere dai troppi pregiudizi che impediscono di guardare nel profondo delle cose e delle persone.
Se c’è una cosa che ho imparato è che non bisogna mai giudicare e che, comunque, per poter valutare è necessario conoscere una realtà.
Solo una giusta cognizione di causa permette un’attenta e veritiera analisi.
È certamente vero che per poter operare bisogna conoscere il territorio e le risorse a disposizione, ma cosa ancora più importante è la collaborazione e la partecipazione come soggetto attivo del detenuto sottoposto a limitazione della libertà personale, senza una presa di coscienza ogni tentativo di risocializzazione, di reintegrazione nella società, la stessa che lo ha a torto o ragione “messo al bando”, risulterebbe vano.




[1] Allo stato attuale bisogna sottolineare una svolta credo importante per la figura dell’educatore penitenziario. È stato infatti bandito in data 16/04/2004 il concorso per l’assunzione a tempo indeterminato di tale figura. Finalmente “ai paini alti” qualcuno ha pensato che se la rieducazione è punto cruciale del trattamento, necessaria e quanto mai urgente è la presenza di personale competente.

1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

eh... informative post :))

14 December, 2009 20:08

 

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