Friday, May 05, 2006

Lupetti ribelli

e poi si pensa che il carcere non insegni nulla....a voi la lettura

Sono il terzo di cinque figli, nato 43 anni fa da un padre capo branco e da una lupa affettuosa con i suoi cuccioli. I primi anni, con i miei fratelli, siamo cresciuti giocherellando e facendoci in continuazione dispetti l’uno con l’altro. La più sfortunata era mia sorella. Noi la “sgagnavamo” di continuo. Quando poi era l’ora della poppata lei arrivava sempre ultima, quando andava bene, se no la saltava.
Passarono gli anni, circa sette, quando mio padre, che era un capo branco rispettato da tutti, sia in casa che fuori – anche perché quando mostrava i denti lui c’era un fuggi fuggi generale – un giorno, mentre stava cercando di arraffare del cibo, fu catturato dai padroni dello stabile e portato al canile. Mia madre, quella sera, non vedendolo più tornare, andò con mio fratello più piccolo a cercarlo; mia sorella li seguì e da allora per molto tempo non li rividi più.
Rimasti in tre iniziammo una nuova vita, senza avere vicino né papà né mamma. Potevamo fare quello che volevamo. Durante il giorno ognuno pensava a se stesso ma la sera cercavamo di trovarci tutti nella nostra tana. Anche se a volte capitava che non ci si vedesse per settimane, sapevamo comunque che eravamo uniti e che, ad ogni emergenza, sarebbe bastato un ululato per far accorrere l’uno in aiuto dell’altro.
Sette anni più tardi, io avevo quattordici anni, scoprimmo dove si trovavano la mamma e i nostri fratelli. Andammo a trovarli e mamma ci disse che nostro padre era da anni rinchiuso in un canile lontano da casa. Tornammo alla nostra tana, che per noi era una reggia.
La vita continuava tra una difficoltà e una risata, quando un giorno,, mentre stavo arraffando le “lupomelle” insieme ad amici, anche loro come me indomabili e sempre contro le regole, fui preso dall’accalappiacani, un dipendente del sindaco. Mi portarono circa mille km, alle porte con la Jugoslavia, a Trieste. E così mi ritrovai anch’io, come mio padre, in un canile. La cosa che mi spaventò di quel posto fu il fatto che c’erano varie razze di lupo ma soprattutto che molti esemplari erano molto più grandi di me: io ero l’unico cucciolo. Mi feci forza e coraggio. Il primo lupo che vidi all’ingresso mi colpì per quanto era marchiato e decisi che anche io dovevo diventare così…infatti, a tutt’oggi, sono un tatuaggio unico.
Da allora ho passato la vita a girare i canili. Ancora oggi sono in quel di Milano e vorrei, se ne avessi possibilità, chiedere a quell’accalappiacani e a quel sindaco come venne loro in mente di rovinarmi la vita mandandomi in un canile alle tenera età di quattordici anni, insieme a dei lupi più grandi e molto più feroci di me. La mia scuola di vita furono le lezioni dei cosiddetti “lupi feroci”. Non si è dimostrata una gran scuola e nemmeno una gran vita. Le cose che ti vengono insegnate a scuola sono quelle che ti fanno crescere e respirare e amare. I lupi feroci non mi hanno insegnato a crescere, ma solo a difendermi. Mi hanno insegnato ad odiare, a starmene fuori dalle regole, ad allontanarmi dagli altri….
La mia grande fortuna è stata quella di conoscere, in fuga da un canile all’altro, una lupacchiotta dolcissima che, ogni sera all’imbrunire, ulula da oltre il recinto. I suoi ululati d’amore, nell’attesa che esca da questo maledettissimo canile, mi danno la forza di resistere in mezzo ai lupi più aggressivi e feroci, nella speranza che io presto possa raggiungerla ed ululare insieme a lei guardando la luna posta proprio al centro di un mantello di stelle brillanti.


(di R.G. dalla C.C. San Vittore. Lo scritto risale al 2004)

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