Thursday, January 26, 2006

un concentrato della mia tesi di laurea: LA PROGETTAZIONE PEDAGOGICA NEL CONTESTO PENITENZIARIO

Uscire dal carcere non è che l’inizio.
Evadere dal proprio passato,
questa è la vera sfida.
Ronan Bennet: La seconda prigione


Il mio lavoro di tesi ha preso in esame una vera e propria Istituzione e la possibilità di poter operare all’interno attraverso una progettazione degli interventi.
Si tratta, infatti, della C.C. (Casa Circondariale) San Vittore di Milano situata in pieno centro cittadino e precisamente in Piazza Filangieri 2, in zona Sant’Ambrogio.
Un carcere in piena città?
Forse un modo per sensibilizzare la gente, un input dal quale partire per costruire una “via d’uscita” per chi ha l’impressione di essere, ormai, solo e solamente in un vicolo cieco.
Perché prendere in considerazione e analizzare, per quanto possibile, una realtà come quella carceraria le cui dinamiche sono spesso ampie e complesse?
Probabilmente proprio perché, dal mio punto di vista, è importante conoscere una realtà che esula da una visione di “normalità” che pervade la nostra quotidianità.
Conoscere per cercare di e imparare a capire.
Comprendere come una sola Istituzione possa inglobare in sé una molteplicità di associazioni preposte al raggiungimento di un unico obiettivo: il recupero e ancor più il reinserimento a pieno titolo del detenuto nella società.
Il senso della pena non fine a se stessa, ma funzionale a tale scopo ( ex. Art. 27 Cost. :
“la responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.”).

Questo lavoro si suddivide in quattro capitoli e in ciascuno di questi si cerca di sviluppare una “problematica”, ma il filo comune, quello che lega il testo è l’importanza di progettare in un contesto detentivo che ha come punto di riferimento una norma costituzionale per cui sopra ogni cosa c’è la dignità personale e il suo rispetto.
Nel primo capitolo viene preso in considerazione il senso e la possibilità di una progettazione nell’agire pedagogico.
Progettualità come tensione verso, strumento di sintesi tra soggettività ed oggettività, tra singolarità e pluralità e progettazione come quella serie di atti che rendono visibile e verificabile il processo educativo in base al quale si definiscono ruoli, contesti e ambiente culturale.
L’ultima parte del capitolo è invece dedicata al contesto specifico detentivo e alla C.C. San Vittore.
Nel secondo capitolo si parte col notare che prima dell’Illuminismo la pena era vista come mera punizione, spesso anche fisica e con punte di atrocità estreme, dove spesso il crimine era paragonato al peccato senza un distaccamento del diritto dalla morale.
In Italia, invece, sorgono e si sviluppano due scuole di pensiero contrapposte (classica e positiva) e dal loro incontro si svilupperà il cosiddetto sistema del doppio binario.
Sempre presente il dibattito tra funzione punitiva e/o funzione retributiva della pena, infatti, la compresenza delle due funzioni (privare della libertà il soggetto che ha violato le regole della convivenza sociale e nel medesimo tempo trasformarlo, attraverso tecniche di cambiamento, per restituirlo all’esterno socialmente riadattato) è derivante da una persistente dicotomia: da una parte un modello di retribuzione -castigo- riparazione del delitto, risalente ad un meccanismo punitivo; e dall’altra si consolida un’esigenza rieducativi, risocializzante consolidata con l’entrata in vigore del nuovo Ordinamento Penitenziario del luglio 1975 e Regolamento di esecuzione DPR 230/2000, n.230.
Nel terzo capitolo lo sguardo è rivolto all’educatore quale figura professionale e all’educazione intesa come processo dinamico e all’educazione per gli adulti intesa come educazione permanente, long life education, un’educazione che accompagna il soggetto dai primi stadi evolutivi per tutta la vita.
Siamo in un’ottica globale della persona, un’ottica unitaria che quindi non può essere scissa.
La figura invece dell’educatore penitenziario nasce nel 1975 con l’entrata in vigore del nuovo Ordinamento Penitenziario il cui obiettivo primario è il reinserimento del detenuto, la riduzione della cosiddetta recidiva e l’aumento delle sicurezze da parte della società.
L’ingresso ufficiale di questa figura è datata 1979 anno del primo concorso.
L’ultimo capitolo idealmente si divide in due parti: la prima in cui si analizza il rapporto tra detenuti tossicodipendenti e la seconda che prende in esame il progetto “La Nave” della C.C. San Vittore di Milano.
Ci si chiede se e come il contesto detentivo possa aiutare un soggetto legato ai problemi della tossicodipendenza o se non rimane un mero “parcheggio” per questi soggetti che presto o tardi torneranno al “loro mondo”.
Spesso infatti il carcere più che rieducare sviluppa una vera e propria scuola di criminalità e rischia di diventare una fabbrica di soggetti incompatibili con la società, quindi, in una sorta di spirale, il carcere riproduce se stesso all’infinito in quello che si può definire un processo schismogenetico.
Nella seconda parte del capitolo si prende in considerazione, come già detto prima, il progetto La Nave: riparto dal reparto, che è nato nel luglio del 2002 all’interno della C.C. San Vittore di Milano.
Il nome dato al reparto è NAVE perché metaforicamente simboleggia il percorso della nave che salpando da un porto naviga fino al raggiungimento di un altro porto in cui attraccare.
L’obiettivo principale è quello di inserire l’esperienza carceraria tra un prima e un dopo in un percorso di crescita nella motivazione al cambiamento, cercando si fare del tempo in carcere un tempo che possa essere riempito di senso e non solo di attesa.
Un tempo per ricostruire il tempo, una crescita personale in quanto in educazione il cambiamento è mutazione, crescita, evoluzione che dipende da diversi fattori: dalla volontà del soggetto, dalle cause che provocano il cambiamento, dalla relazione che si instaura tra il soggetto e gli altri (operatori inclusi).
L’intento è quello del raggiungimento di una piena autonomia e responsabilizzazione degli ambienti e degli spazi (ecco ad esempio la sala pc-biblioteca e il corridoio), non solo per quanto riguarda la condivisione del materiale, e la partecipazione alle attività, ma circa anche l’attivazione costante e continua nel proporre, costruire, cambiare e discutere.
Un ambiente che non nasconda la realtà carceraria ma che si pone per la prima volta come oggetto che si può modificare: il tempo e lo spazio ricominciano ad avere un senso del quale faticosamente bisogna riappropriarsi: un avvicinamento all’esperienza del “fuori”, in un momento in cui si sta progettando il “fuori”.
È ovvio che trattandosi di problematiche legate alla tossicodipendenza non è sempre facile la gestione della quotidianità e dei rapporti interpersonali, ma la voglia di riscatto, di rimettersi in gioco e sfidarsi in quella che è la corsa sulla strada della propria vita diventa l’obiettivo a cui tendere, la meta da raggiungere per recuperare un posto che a ciascuno spetta di diritto nella società e quella dignità di persona mai persa, forse solo scalfita dalla piaga della dipendenza qualunque essa sia.
In conclusione si può affermare che ciascun Istituto Penitenziario è strutturato secondo una propria logica e secondo una propria “filosofia”.
Si tratta di un dato non necessariamente negativo che in ogni caso dimostra come, per poter operare adeguatamente all’interno di un Istituto, sia necessaria una certa conoscenza del singolo contesto.
È importante leggere la specificità dei singoli istituti in una logica circolare.
Oggi l’identità di un luogo di pena si costruisce non solo attraverso i meccanismi auto-referenziali dell’istituzione totale, ma anche attraverso l’integrazione con quanto esiste fuori.
Ciò che avviene all’interno del carcere dipende dall’offerta che l’esterno propone quando fa progetti e circolarmente ciò che l’esterno offre è legato a quanto l’istituzione è in grado di chiedere.
Proprio in questa dinamica risiede uno dei nodi critici più importanti che interessa trasversalmente tutti gli istituti penitenziari quando si parla di attività trattamentali intra ed extra murarie: in che modo si determina l’esigenza interna di trattamento e in che modo le offerte formative si possono realmente connettere con il mercato del lavoro esterno.
La definizione dei bisogni e le conseguenti priorità richiedono l’adozione di una strategia di sistema.
Strategia che tenga conto di una dimensione partecipativa reale da tutti gli interlocutori che oggi dispongono di un’esperienza in questo settore: non si tratta infatti di definire chi dovrebbe occuparsi di questo (è chiaro che questo è compito istituzionale), ma piuttosto di “come” si possa impostare un sistema di analisi del bisogno, programmazione e valutazione in modo tale da garantire la condivisione di alcune politiche, la definizione di criteri valutativi, la trasparenza dei processi.
Un ulteriore elemento di riflessione che emerge nel prendere in esame la realtà degli istituti penitenziari è l’importanza dei ruoli educativi all’interno del carcere.
Laddove questi ruoli sono esercitati in modo adeguato è più facile disporre di maggiore opportunità e di una maggiore connessione anche con le realtà esterne.
Ho voluto con questo lavoro mettere in evidenza una realtà complessa e poco familiare, ma allo stesso tempo affascinante come quella degli Istituti Penitenziari.
Il lavoro certamente non è completo, ma è sufficiente quanto meno a rendere un’idea generale su questo tipo di struttura.
Come già detto è necessaria una stretta e proficua collaborazione tra le diverse strutture che operano nello stesso ambito.
Al centro vi è la persona del detenuto quindi tutto quello che si fa, lo si fa per lui e senza ledere i suoi diritti di essere umano, di persona.
Massimo rispetto per la dignità, per l’integrità fisica e morale del soggetto.
La pena non ha solo ed esclusivamente una funzione afflittiva, ma soprattutto rieducativa e risocializzante, ed è per questo che almeno una parvenza di figure istituzionali preposte a questo scopo ci sia (anche se pare che “ai piani alti” non sia ancora ben chiaro questo concetto....come mai sono più di dieci anni che non viene bandito un concorso per educatori in Istituti Penitenziari?)[1].
Per quanto riguarda il San Vittore posso affermare, avendo svolto anche il tirocinio formativo, che molto si sta facendo [nella sezione penale, per esempio, è collocata la redazione del giornalino, magazine due, che prende il tale numero dalla piazza nella quale è ubicato l’istituto (per i milanesi il due connota proprio il carcere)], che la volontà e la voglia di fare ci sono (almeno per quanto riguarda l’esterno che all’interno lavora).
Devo ammettere che il San Vittore è un contesto carcerario molto più aperto rispetto a tanti altri e che questo agevola e favorisce un intervento “educativo” più efficace.
È forse però necessaria una maggior formazione della Polizia Penitenziaria che non dovrebbe svolgere solo funzione di controllo.
Anche essa dovrebbe essere una risorsa e un aiuto all’area e per l’Area Pedagogica.
Il San Vittore, come qualsiasi altro contesto penitenziario, rimane un contesto da VIVERE, CAPIRE, SCOPRIRE.
Tutto quello che posso dire è che è fondamentale non lasciarsi prendere dai troppi pregiudizi che impediscono di guardare nel profondo delle cose e delle persone.
Se c’è una cosa che ho imparato è che non bisogna mai giudicare e che, comunque, per poter valutare è necessario conoscere una realtà.
Solo una giusta cognizione di causa permette un’attenta e veritiera analisi.
È certamente vero che per poter operare bisogna conoscere il territorio e le risorse a disposizione, ma cosa ancora più importante è la collaborazione e la partecipazione come soggetto attivo del detenuto sottoposto a limitazione della libertà personale, senza una presa di coscienza ogni tentativo di risocializzazione, di reintegrazione nella società, la stessa che lo ha a torto o ragione “messo al bando”, risulterebbe vano.




[1] Allo stato attuale bisogna sottolineare una svolta credo importante per la figura dell’educatore penitenziario. È stato infatti bandito in data 16/04/2004 il concorso per l’assunzione a tempo indeterminato di tale figura. Finalmente “ai paini alti” qualcuno ha pensato che se la rieducazione è punto cruciale del trattamento, necessaria e quanto mai urgente è la presenza di personale competente.

Monday, January 23, 2006

NON SOLO DROGA: LE MOLTE FACCE DELLA DIPENDENZA

219Di Luigi Janiri (professore di psichiatria Università Cattolica) e tratto dal bimestrale di cultura e dibattito della stessa università Vita & Pensiero.[1]

La dipendenza sembra proprio essere una condizione del nostro tempo. Quale volto hanno assunto, oggi, le tossicodipendenze? Esauritasi la fase dell’eroina come droga esclusiva, stiamo assistendo a nuove ondate epidemiche di tossicomania come quella della cocaina, al ritorno degli allucinogeni, alla “normalizzazione”della cannabis, alla disponibilità di droghe low cost come gli inalanti, alla diffusione di sostanze etniche e perfino “fai-da-te”, sostanze progettate a tavolino per miscelarne in modo ottimale gli effetti e che si possono comprare via Internet o sintetizzare a casa seguendo le istruzioni reperite sempre in rete.
Non più la massificazione di costumi imposti da un’unica regia, bensì l’illusione di una scelta di paradisi artificiali personalizzati in base a una sorta di consumismo da “supermarket”.
Da tutto ciò discendono due importanti conseguenze:
le tossicodipendenze dei nostri giorni sono rappresentate soprattutto dall’uso, contemporaneo o sequenziale, di più sostanze (poliabuso),
a causa degli effetti psicoattivi di una varietà considerevole di sostanze abusate, aumentano i casi di “doppia diagnosi”, in cui un disturbo psichiatrico vero e proprio si instaura contemporaneamente alla patologia da uso, la dipendenza, frutto di un incontro tra predisposizione del soggetto e una disponibilità di oggetti gratificanti nell’ambiente, è una forma psicopatologica moderna la cui origine risiede in un’alterazione mentale e che il vertiginoso aumento della sua frequenza è un esempio di come mutino nel tempo le condizioni affinché tale alterazione possa giungere a esprimersi.
La dipendenza sembra corrispondere a un costrutto psicopatologico unitario, il cui nucleo strutturale si identifica con i seguenti elementi:
il craving come desiderio compulsivo, irrefrenabile;
la perdita di controllo su di esso;
l’astinenza cioè il disagio fisico o psicologico per la sottrazione acuta dell’oggetto;
i fenomeni di assuefazione (riduzione nel tempo dell’effetto gratificante o piacevole) o, di sensibilizzazione (aumento dell’effetto nel tempo);
il restringimento del repertorio comportamentale, nel senso di un uniformarsi dei comportamenti quotidiani e dello stile di vita a causa della crescente importanza della ricerca, del procacciamento, dell’uso e del venir meno dell’oggetto;
il deterioramento dell’area psicosociale, inteso come uno scadere progressivo del funzionamento lavorativo, relazionale, familiare etc. del soggetto.
È evidente che tale costrutto è basato su un modello di relazione tra soggetto e oggetto e che quest’ultimo è in qualche misura intercambiabile o associabile: ciò vuol dire che un eroinomane può diventare un giocatore patologico, che una bulimia può diventare alcolista e che queste condizioni possono coesistere secondo un principio evolutivo di aggiunta, arrivando per questa via alla doppia diagnosi o, come tecnicamente si dice, alla “comorbilità” psichiatrica della dipendenza.
La dipendenza viene raggiunta attraverso stadi intermedi a partire dalla normalità, in base a un continuum lungo il quale troviamo l’abitudine, l’abuso, fino alla dipendenza psichica e fisica .
Le sostanze possiedono la proprietà di produrr effetti più o meno piacevoli, ai sintomi psico-comportamentali e alla stessa dipendenza fisica, con i suoi attributi di tolleranza (assuefazione farmacologica) e di astinenza.
Ma la dipendenza è sempre patologica? Ebbene sì, se essa configura uno stato psicologico rigido, fisso, dalle conseguenze distruttive che si impossessa della vita di una persona e gli sottrae interessi, passioni, progetti. Esistono anche dipendenze fisiologiche, come quelle tra madre e bambino e tra psicoterapeuta e paziente, che nella fase in cui sono attive hanno le medesime caratteristiche di quelle patologiche, me se ne distinguono per essere costruttive, limitate nel tempo e funzionali a un particolare scopo.
Negli ultimi anni l’interesse verso il concetto di dipendenza si è andato estendendo dall’oggetto “sostanze” (farmaci, droghe, ma anche cibo) all’oggetto “comportamenti”.
In alcune forme l’oggetto sembra essere una stimolazione sensoriale (videodipendente), in altre una modalità di eccitamento comportamentale (dipendenze sessuali, Internet addiction), talvolta legato ad aspetti economici (shopping compulsivo, gioco d’azzardo patologico), in altre ancora un tripodi relazione interpersonale (dipendenze affettive, co-dipendenza). In altri casi la dipendenza coinvolge comportamenti e abitudini socialmente condivise: attività fisica, lavoro (il cosiddetto workaholism); si ammette che lo stesso stress possa divenire oggetto di dipendenza.
Sembra dunque ormai acquisito che alcuni comportamenti, oggetti e situazioni, capaci di procurare piacere, sempre più spesso perdono la loro funzione sociale per “schiavizzare” (vedi termine anglosassone addiction, letteralmente “dedizione”, dal latino addictio, “schiavitù”) l’essere umano, il quale non riesce più a esercitare su di essi alcun tipo di controllo. Il meccanismo che genera le “nuove” dipendenze sarebbe allora caratterizzato da un’escalation di comportamenti sempre più trasgressivi e rischiosi, al fine di ottenere nel tempo il medesimo effetto stimolante ed euforizzante, o sedativo di vissuti ansiosi e depressivi, stabilizzante rispetto a oscillazioni dell’umore e instabilità del comportamento.
Se la dipendenza è un dato strutturale della personalità, una vulnerabilità che proviene dalla storia individuale e dalla famiglia d’origine, è l’esposizione agli eventi stressanti e traumatici e il fatidico incontro con l’oggetto che innescano la dipendenza patologica e trasformano i tratti del carattere in sintomi.
Certamente alcuni aspetti della personalità sono più a rischio di altri di essere additive cioè di indurre dipendenza: ad esempio, la ricerca della novità e delle sensazioni, la propensione al rischio, il bisogno prevalente di stimoli esterni. Questi aspetti possono essere del tutto fisiologici, ma a un certo livello il soggetto perde il controllo sui propri impulsi.
Dipendenza come disturbo mentale, come condizione esistenziale, come tratto di personalità, come modalità di relazione tra un soggetto e un oggetto: quale di queste definizioni rappresenta meglio la realtà umana, ancor prima che clinica? Alcune considerazioni conclusive permetteranno di inquadrare la questione più adeguatamente:
- la dipendenza fa parte del necessario e naturale bagaglio esperienziale dell’uomo; tuttavia si descrivono a partire dalla normalità linee di deriva che conducono alla dimensione sintomatologica e morbosa;
- la predisposizione individuale origina precocemente: dai genitori o da altri membri della famiglia con problemi di dipendenza, da un attaccamento patologico, da uno sviluppo traumatico, da un ambiente educativo inappropriato, da un clima emotivo insano in famiglia, dalla formazione di una personalità a “rischio” etc.;
- le occasioni e gli eventi della vita possono scatenare una dipendenza patologica;
- lo sfondo culturale su cui tutto ciò avviene è altrettanto determinante ed è responsabile della drammatica attualità di questo disturbo.
Il percorso che si viene così tracciando rinvia a una realtà complessa, multifattoriale, articolata, per la quale la deriva patologica della dipendenza assume i connotati di un’organizzazione mentale e di un’esperienza catastrofica, nel senso del suo essere immane, irreversibile, indelebile, un’esperienza che segna a vita: non a caso nelle riunioni di Alcolisti Anonimi chi prende la parola, anche a distanza di anni dall’ultima bevuta, si presenta sempre e ancora come un “alcolista”.

[1] L’intero testo è disponibile sul bimestrale di cultura e dibattito dell’Università Cattolica. Novembre/Dicembre 2005, anno LXXXVIII

Friday, January 20, 2006

U. Santucci

Se hai qualche problema ti aiuto a risolverlo.
Se non ce l'hai ti aiuto a crearlo.

DNA: grazie Silvio


Ragazzi questo è il risultato della mia esercitazione del modulo di arte digitale che aveva come tema l'uomo e la tecnologia. Non avrei mai pensato di arrivare a "costruire" tutto questo e se non fosse stato per il grandioso (non potrei definirlo altrimenti) Prof Silvio Giordano nulla avrei potuto. Oggi termina il suo modulo e onestamente mi dispiace perchè oltre ad esser un ottimo professionista è anche umanamente coinvolgente. Cosa dirti se non GRAZIE SILVIO!!!!!!!!

l'uomo e la tecnologia...io ho voluto giocare sull'idea del DNA che rende ciascun uomo irripetibile. Oggi l'uomo, che resta sempre umano, porta in sè i caratteri della tecnologia ed ecco che da un dna genetico ne esce un altro ma questa volta "binario".

Anthony Robbins e le sue frasi

  • "Le persone che hanno il massimo successo non sono quelle che non falliscono, ma coloro i quali sanno che, se tentano di ottenere qualcosa e non riescono ad averla, hanno comunque avuto un'esperienza istruttiva: utilizzano ciò che hanno appreso e tentano un'altra strada, intraprendono nuove azioni, hanno nuovi risultati".
  • "Finchè il vostro peso in eccesso lo considererete un fallimento, resterete paralizzati mentre, invece, nel momento stesso in cui lo trasformerete in un risultato da voi ottenuto, e che ora potete cambiare, il vostro successo sarà assicurato".
Anthony Robbins
Grande motivatore, Anthony Robbins è uno dei formatori più famosi e importanti nel settore dello sviluppo delle risorse umane, della PNL e del NAC (Condizionamento Neuro-Associativo). Ha scritto libri di successo ed è conosciuto in tutto il mondo. Robbins è stato consulente del Presidente degli Stati Uniti, di Michael Gorbaciov, di Andrè Agassi, e di molti dirigenti delle più importanti aziende americane. Milioni di persone di tutto il mondo traggono beneficio dai suoi insegnamenti e i suoi seminari in America, Europa, Australia ed Asia sono sempre un successo.

Grazieeeeeeeeeeeeeeee

volevo solo ringraziare tutti, ma proprio tutti (o forse eccetto uno ;op) di esserci stati ieri sera. mi auguro ci saranno molte altre occasioni per vederci, conoscerci e parlare del master e non solo.
buon lavoro a tutti, buon fine settimana e per lunedì 23 rimettetevi in forze perchè si ritorna sui "banchi"!
kisses

Thursday, January 19, 2006

Lentamente di P.Neruda (grazie assentia!)

LENTAMENTE...
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
(Pablo Neruda)

cinema cinema

Se vi piace il cinema e volete sapere la programmazione nei nostri cinema....

frasi di anonimi...magari riflettiamo....

  1. Ridere spesso e di gusto; ottenere il rispetto di persone intelligenti e l'affetto dei bambini; scorgere negli altri gli aspetti positivi..... questo è avere successo!
  2. Dentro di noi sonnecchia un gigante. Ciascuno di noi ha una dote, una qualità, un pizzico di genialità che aspetta solo di essere liberata!
  3. Se agisci con chiarezza sarai nelle condizioni di interrompere con facilità le attività negative....
  4. "Mentre i nostri sforzi sono per avvicinarci alla destinazione, è possibile ammirare il paesaggio"
  5. Una personalità ricca è un universo in espansione....

mi piaceva semplicemente condividere con voi queste frasi, forse molto "rigide", ma in grado di adattarsi a ciascuno....basta riflettere su ciò che si è e trovare nell'altro non solo e non sempre un ostacolo, ma una fonte di grande ricchezza utile per diventare "grandi". Una persona è grande se in quello che fa rispecchia quello che è.

Wednesday, January 18, 2006

Analisi comunicativa del sito il villaggio dell'artigianato

questo esercizio svolto da me e da Vincenzo è nato all'interno del modulo web content. Il nostro compito era quello di analizzare un sito (il villaggio dell'artigianato) dal punto di vista comunicativo. Di certo non è un lavoro perfetto, anzi....però ci abbiamo almeno provato.

se volete vederlo basta cliccare qui

i miei studi

Oggi voglio inserire qualcosa che riguarda il mio ambito di studio, un accenno al processo educativo e al concetto di educazione più in generale.....se vi interessa e volete scambaire idee, opinioni, potrò esserne solo felice. Una persona cresce e matura quando sa relazionarsi agli altri e dagli altri trae il meglio per se stesso.
La pedagogia è la scienza che studia i processi educativi dal punto di vista della relazione educativa.È la riflessione sul processo educativo.Si occupa, in particolare, degli aspetti di fondo, ovvero le finalità per le quali vale la pena di educare, i fini, i valori, gli obiettivi che si perseguono.

Tuesday, January 17, 2006

buonanotte


ciao amici e non!prima di inserire altri lavori del master volevo mandarvi i miei saluti personalizzati prima del riposo notturno nel mio letto.....

Monday, January 16, 2006

ortolan cuoco


ecco il mio lavoro di arte digitale!non è certo eccezionale ma da qualche parte dovevo pur cominciare!!!!! Silvio (il prof) chissà cosa ne penserà.....forse è meglio non chiedere..... :o)

Thursday, January 12, 2006

fine anno

questo blog raccoglie i lavori del master ma.....non solo!!!!








Wednesday, January 11, 2006

come le frasi dei cioccolatini....cosa sarebbe l'uomo senza l'amore?



La cosa più importante per l’uomo è amare ed essere amati!

Una riflessione sul tema dell’amore a volte illogico a volte poco coerente ma sicuramente ricco di fascino e stimolante. Lo scrivere sull’amore o dell’amore provoca sorrisi e spesso ilarità ma bisogna farlo e non sentirsi mai ridicoli o avere paura di esserlo. È ridicolo solo chi non ne sa scrivere….
La letteratura stessa è piena di esempi di lettere di amore, un po’ meno frequenti gli epistolari amorosi reciproci come quello tra la scrittrice Sibilla Aleramo ( pseudonimo di Rina Faccio, 1976-1960) e il poeta Dino Campana (1885-1932). Un mondo privato, intimo e segreto ma così potente tanto da riuscire a travolgere il lettore in un turbinio di emozioni.
L’amore è qualcosa che si esprime in tutte le sue forme e in tutti i suoi modi…..se un tempo facevano da padroni carta e penna oggi, molto spesso, ci si esprime attraverso il computer, internet che ci permette, navigando nel cyberspazio, di trovare, magari, anche l’anima gemella.
Se poi una lettera d’amore è un poeta a scriverla, allora penetra nell’anima e vi trova dimora
.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino [….]
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue”.

(da Eugenio Montale, Tutte le poesie )

questo brano nasce come esercitazione del modulo di web content. Il mio compito era di riassumere un capitolo del libro di Lucchini "Scrivere. Una fatica nera". Il capitolo da me riassunto e riadattato anche nei titoli è il 20: Le lettere d'amore.

Tuesday, January 10, 2006

lipogramma in V



Era il tramonto, pieno di fiumi caldi intorno alle cime: le fronde delle farnie afferrano luccichii metallici agli aliti languidi del rezzo; frotte di uccelli bradi fendono in alto l’aria rossa perdendosi; e dalla parte delle miniere di Manoppello sopraggiungono buffi pregni di asfalto, a tratti; e a tratti arriva anche la cantilena ultima della capraia là fra mezzo ai ginepri d’una bassura.
I porci si tirano dietro la pinguedine degli addomi giù per la discesa tutta (invermigliata???purpurea???) di lupinella in fiore; Tulespre dietro, ricanticchia lo stornello dei garofani, tende a volte l’orecchio se gli giunge anche un palpito di suono femminile. Era silenzio; ma dal silenzio sgorgano mille suoni indefinibili, ma le preghiere si estendono di chiesa in chiesa con un ondeggiamento leggero di malinconia. E come gli alberi intorno germogliano profumi di donna per Tulespre innamorato!
Uscirono dalla strada maestra: da’ lati le fratte si assopiscono sotto la cenere, un biancore dubbio si protende innanzi nella chiarità plenilunare; dalla macchia scura del branco qualche grugnito sommesso, poi la peste monotone, monotono il cantilenare dei carrettieri, lo scampanellare delle alfane stanche, in quella immensa calma di frescura, di fragranza e di luce.


PRESENTAZIONE


ciao bellissimi (non conta esserlo ma sentirsi tali però.....occhio a non esagerare!!!!),
questo è il mio blog!!!!!!

Lo so che state esultando perchè ora parlerò anche via web.....si salvi chi può!!!!!!!!!!
Per ora non ci sono grandi cose ma di idee me ne verranno a fiumi, a cascate....sempre che quel "genio" del mio vicino di banco impari presto a usare il suo computer così da non disturbarmi più!!!!!!!!!!!
E si....qui dentro, se riesco, troverete tutto (o quasi) quello che riguarda il mio master e piano piano molto molto di più.