Tuesday, March 28, 2006

I CAFFETTARI


ebbene sì.....tra una pausa e l'altra ops una lezione e l'altra eccoci sempre presenti (quasi tutti) all'appuntamento col caffè!!!! MITTICOOOOOOOOOOOOOOOOOO
a proposito ecco la mia classe!troppo bella!!!!!!!!!!!!!!!!

Redazione Beccaria "Afflizione ed educazione: per una pedagogia della pena"

(di Nicolò Pisanu)
da serviziocivile.it 31 Gennaio 2005

Riflessione sul rapporto tra le devianze dei giovani e la risposta giudiziaria alla luce alle recenti possibilità di attenuazione della pena a minori giudicati colpevoli di omicidio.Nell’opinione pubblica serpeggia lo sgomento o lo sdegno per alcune notizie, rimbalzate dai mass media, riguardanti protagonisti della cronaca nera, quale Erica, Omar e Juncker.
Pare, infatti, che i primi due potranno adire benefici previsti dall’ordinamento giudiziario, mentre il terzo registra una drastica riduzione di pena, grazie al patteggiamento.
Non credo che il nodo critico stia nel mero comportamento dei giudici, purtroppo unico elemento alla mercé del giudizio popolare.
E’ più utile, a mio avviso, cercare l’anello di partenza della catena, cioè provare a capire il significato generale della pena, alla luce del condannato e della società.
Una prima distinzione ci rimanda a persone che non appartengono a sottoculture delinquenziali e non presentano condotte criminali abitudinarie.Già questa è una discriminante essenziale per non ridurre il giudizio a pura e matematica applicazione del Codice.
Erica e Juncker, per esempio, rientrano, stando alle Perizie suffragate dal giudizio, in profili psicopatologici, mentre Omar si può considerare psicologicamente gregario nella commissione di un delitto occasionale ed efferato.
Va da sé che tali definizioni pesano non poco sull’esito del giudizio, mentre l’opinione pubblica non è adusa a considerarle nelle loro conseguenze e, talvolta per mal costume forense, le considera “scappatoie” di scaltri avvocati a favore del loro cliente - come purtroppo pare sia accaduto in alcuni casi di abuso di “seminfermità mentale” -, laddove, poi, il cittadino comune non conosce gli esiti di una condanna di una persona affetta da patologia psichica.
Se poi l’attenuante pesa più del crimine e la pericolosità sociale del reo si rivela quale definizione “sgusciante”, e ci si trova di fronte a condannati a piede libero che reiterano reati, è facile esprimere scetticismo nei confronti della Giustizia o dei suoi apparati, desiderando, di conseguenza, pene severe e definitive. Quando l’uomo si sente minacciato, offeso nelle sue aspettative di protezione, deriso nel suo osservare la Legge, confuso da meticciamenti ideologici della giustizia, annaspa facilmente verso il miraggio della “Legge del taglione”, pronto ad abdicare anche alla democrazia.
L’etica nella diffusione della notizia
Esistono possibili rimedi?Rinunciando in questa sede a sofisticate analisi, un primo rimedio consiste nell’evitare di formalizzare gli schieramenti dei “giustizialisti” e dei “perdonisti” ambedue estremi quindi manichei e, sovente, pregni di ideologia, vuoti di argomenti consistenti e generalisti.
Ma questo implica depauperare il ricco piatto che permette al giornalismo, dei rotocalchi e della televisione, di sopravvivere e compiacersi nel confezionamento dei cosiddetti “tormentoni”, mascherati da desiderio di informare e conditi con l’arte di far sentire il lettore o il telespettatore investigatore e giudice (il delitto di Cogne ne è icona dei nostri tempi).
Inoltre, attribuiscono al reo, vero o presunto, un alone spettacolare che urta col riserbo che ogni evento delittuoso pretende, disturbando quella che dovrebbe essere una serena ed autorevole indagine o processo, magari ribaltandola ad arte in capriole conflittuali che vedono ruzzolare magistrati e legislatori.
Negli adolescenti, nei giovani o in personalità immature, poi, possono sortire una sorta di culto del leader negativo che incarna quegli inconfessati e irrisolti conflitti che la personalità non ha ancora elaborato.
A pensarci bene, è il ritorno all’antico giudizio della piazza – esemplarmente applicato da Ponzio Pilato – che, fondamentalmente, placa mediante la sentenza gli animi e fa barriera alle paure sociali.
L’assunzione di responsabilità
Un secondo rimedio consta nell’espletare una strategia “pedagogica” della pena; nell’attenzione, cioè, al reo e al tessuto sociale.
Il carcere è generalmente luogo di reclusione, poiché togliere la libertà è la massima pena che si possa infliggere ad un essere vivente, che rappresenta la componente affittiva della pena ma non è l’unico strumento per porre la persona di fronte alla propria responsabilità, in certi casi il recluso si confronta solo con le conseguenze dei suoi atti.
A tale proposito, la Giustizia sta muovendo nuovi passi con l’adozione del concetto di “giustizia riparativa” che chiede al reo di riparare concretamente, anche nei casi irreparabili, al danno diretto o indiretto fatto al tessuto civile. Sullo stesso piano, la “mediazione penale” sta entrando nel nostro Paese allo scopo di porre “carnefice” e vittima di fronte, per tentare percorsi di riavvicinamento che rimarginino psicologicamente e concretamente le ferite che nessuna pena e afflizione possono sanare.
L’attenzione educativa consta proprio in questa apertura verso un’ottica per cui ogni sentenza di tribunale non è un atto isolato, dal quale vittima e società vengono progressivamente alienati a favore del binomio Stato-Colpevole, che si consuma prima in un aula poi in un carcere ma possiede una matrice e un’eco che può rinforzare o indebolire il senso di giustizia dei cittadini, soprattutto se poi gli esiti saranno incerti o contradditori.
Non per niente il Giudice emette la sentenza “in nome del popolo italiano”. E a questo popolo deve rispondere, almeno in coscienza, non solo al Diritto, al Consiglio Superiore della Magistratura o agli Ispettori del Ministero! La società civile, anche se concretamente assente nei dibattimenti o nelle Camere di Consiglio o nei Tribunali di Sorveglianza, è la “parte civile” che ogni Giudice ha l’obbligo di ammettere nel giudizio e nella commissione della pena.
I grandi Giudici (Salomone fa testo) sono ricordati come tali non per la precisione con cui applicavano il Codice ma per “l’esemplarità” della sentenza, che non significa spettacolarità od onnipotenza, e per la saggezza, cioè per la capacità di giudizio in senso pieno e lato tanto da risultare educativa, diventando ulteriore tassello per l’edificazione del Diritto. Tali sentenze e la loro applicazione avevano il potere di contribuire a ricomporre lo strappo sociale di partenza.
Il malessere, pur provocato da una piccola cellula e circoscritto, riverbera su un corpo e il buon medico, mentre cura, deve salvare tutto il corpo, prevenendo pure reazioni di rigetto che condizionano o neutralizzano l’atto curativo, mettendo nuovamente a rischio la salute.

Monday, March 27, 2006

per la BELLEZZA AUTENTICA

Ogni giorno siamo bombardati da migliaia di immagini di bellezza che influiscono sul modo di percepire noi stesse e il nostro corpo. Ma in che modo possiamo cambiare questi stereotipi e aiutare così le donne a creare nuovi modelli di bellezza?

Per troppo tempo l’idea e i canoni della bellezza femminile sono stati condizionati dal confronto con modelli forzati. Lo dicono le donne: è ora di cambiare. Perché la bellezza si può esprimere in forme, taglie, colori ed età diverse.

Perchè crediamo che ciascuna di noi sia un tipo e che nessuna voglia essere uno stereotipo.....

Thursday, March 23, 2006

per iniziare a parlare di pedofilia

  • Il Coordinamento Nazionale dei centri e dei servizi di prevenzione e trattamento dell’abuso in danno ai minori, il 21 marzo 1998 a Roma, ha redatto ed approvato una Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia, un documento che offre criteri di valutazione-intervento per i professionisti socio-sanitari*
  • La pedofilia si caratterizza come un atteggiamento di interesse sessuale verso soggetti di età non matura alla vita sessuale, i bambini appunto, e può essere agita da persone apparentemente normali, nello stile di vita e nei comportamenti; spesso sono conoscenti del bambino o familiari ( e che quindi violano la moralità dei rapporti parentali), a volte sono sconosciuti da cui il bambino si è lasciato irretire con una buona motivazione addotta dal pedofilo.


Monday, March 20, 2006

delirio puro a mezzanotte

Eccomi rientrata da un weekend romano. Certo mi direte che faccio una bella vita.....ma no ragazzi sono solo andata ad un corso di formazione e giacchè ero in quel della capitale ne ho approfittato per vedere la mostra photo & digital audio e, ovviamente, per riabbracciare alcuni miei amici. Il tempo non è stato molto e se qualcuno si è sentito trascurato prometto che rimedierò anche se il mio bene per loro (per lei soprattutto) non è messo assolutamente in discussione. Ci sono cose che dovevo fare e che mi sono servite a chiarirmi le idee.....non sarà comunque facile far finta di niente e continuare a guardarmi intorno per darmi altre opportunità però è quello che dovrò fare. Ci sono persone che per diverse ragioni non riesci a dimenticare o che diventano forse troppo importanti o alle quali attribuisci tutte le migliori qualità sopravvalutandole o credendo di aver trovato il meglio invece basta fermarsi a riflettere per capire che mentre lui continua beatamente a farsi la sua vita tu sei lì che aspetti.....aspetti.....che poi cosa cacchio aspetti? Questo è quello che ho capito: mi sono stancata di aspettarlo e allora se il destino non ci vuole mettere mano vuol dire che è meglio cambiare libro!
In fondo le cose belle restano, così come i bei ricordi e tutto il resto è necessario per andare avanti e non ricadere nelle solite trappole per rimanerci impigliati per troppo tempo.
Sicuramente pochissimi di voi comprenderanno questo messaggio (forse sto delirando) ma ciò che conta è guardarsi allo specchio e dirsi le cose come stanno senza mezzi termini e senza titubanze.

Wednesday, March 15, 2006

altra delusione.....

oggi è una pessima giornata......ho sentito per telefono un ex collega che a settembre da operatore di vigilanza è stato chiamato a fare l'educatore....io non andavo bene perchè serviva un uomo, ma (parole della direttrice) avrei avuto altre occasioni in fondo un educatore stava per andare in pensione. questa persona è andata in pensione ma a sostituirlo è stata chiamata un'altra persona.....la figlia della direttrice del servizio sociale e io puntualmente mi ritrovo scavalcata......come pensare allora che è solo destino?arrivo a credere che forse, nonostante le parole, non mi volevano tra i piedi. l'amarezza che sento deriva dal constatare di avere a che fare con gente che ama usare la bocca senza però usare il cervello!e l'onestà dove cavolo finisce?ma che cavolo mi sono laureata a fare.....era meglio fare altro nella vita. e lo so che nella vita altre sono le batoste però non trovo giusto che in due anni non sia riuscita ad avere la fiducia di nessuno. mando e mando curriculum ma....servirà?io sono troppo scoraggiata.....scusate lo sfogo, ma avevo bisogno di parlare......

PENSIERI "SBARRATI"

Che odore ha l’amore?
Che odore ha 1’amore?
Pensavo di muschio
come la mia pelle
o come i nostri corpi intrecciati.
Che temperatura ha 1’amore?
Lo pensavo caldo
come i miei maglioni
che indossavi di notte quando ti sentivi sola.
Che forma ha l’amore?
Sapevo che era quella del tuo viso.
Ora che l’odore, il calore e la forma
sono svaniti
so solo che brucia
la carne, l’anima e i sogni.
Gregorio Facchini

Dio piangerà per me
Nella silenziosa stanza
sfiorano, lentamente,
le mie dita, il muro
disegnando l’ovale del tuo viso
L’aria odora di pioggia
forse anche oggi
Dio piangerà per me.
Gregorio Facchini

Le mie mani
Tengo tra le mani
il nulla del presente
e i ricordi del passato
con essi costruisco sogni
in cui le mie mani
tornano a stringere le tue.
Gregorio Facchini

Memoria
Mi sfioro laddove ti ho avuta
morbidamente appoggiata
e i miei muscoli liberano ricordi,
sensazioni danzanti che plasmano il tuo nome.
Ma tu lo sai che pelle e muscoli
possiedono memoria?
Prova a premerli lievemente
con le dita o il palmo delle mani,
rivivrai la nostra danza…
Io mi sfioro con dolcezza
e rimbalza il tuo nome di cellula in cellula.
Loris Cannarozzo

Foglie
Come tanti di noi
son queste foglie,
verdi, e pur anche ingiallite
in un unico terreo colore
non dal sole consunti
ma dal gelido ferreo sapore.
Come se il tempo passato
non fosse e come
se il tempo avvenire
lento stringesse il colore
hanno in lor riflesso
gli anni lenti a finire
come nel trascorso veloce
senti il futuro lento aggredire
ma la corteccia in anni indurita
sembra protegga nello spento pallore
un unico gene…
quel gene è l’amore.
Luciano Petroni

Pied a terre!
(dall’epistolario con la mia Piastrella)
Mia splendida,
venerdì mattina, quando ti passeggiavo sopra,
ho sentito che volevi ti sfiorassi i bordi, ma non sapevi come dirmelo.
Me ne sono accorto, sai!
Tu hai fatto il possibile per sorridere. mandandomi
il solito piacevole rumore di risposta, per dire che ieri era come sempre.
Sarà che in questo periodaccio i pensieri non corrono verso i desideri, sarà anche colpa dell’umidità che mostra tutti gli anni delle mie scarpe, sarà...
Al mio passeggiare inglese hai risposto con un suono leggermente diverso. Avresti preferito che non ti dicessi nulla?
Sono dodici anni che passeggiamo insieme e non voglio lasciare neppure una sola e piccola ombra nel nostro solare rapporto senza tempo.
Una delicata carezza a piedi nudi.
Ti adoro.
(Roberto)

Mio caro,
miei dolci cari, sai che la mia visione di te è fatta di parti e nessuna voglio dimenticare, io ti amo come sempre e mi spiace che ti sia accorto del mio turbamento, non volevo tu lo sapessi, ma mi è tornata l’antica gelosia.
La colpa è anche tua, giovedì non dovevi raccontarmi
il sogno.
Ricordarmi il tuo passaggio passato, sui ricchi disegni, so che rimangono nella tua mente ricordi piacevoli e soffro per non poterti regalare sensazioni colorate.
Non riesco a distogliere la mente dalle visioni immaginarie, continuo a vedere di te spalle e braccia e mani e gambe e glutei e... che si appoggiano su quei colori antichi e il mio cuore si spezza. Ecco il perché di quelle piccole ed impercettibili ultime crepe su di me, non è il passaggio del tempo, sei tu.
Ma tu te ne sei accorto, vero?
Questa sera ti sognerò, ho deciso, ti voglio sognare, non col tuo passo inglese, ma con i tuoi piedi nudi che mi sfiorano.
Ti prego, domani passami sulle linee.
Sempre tua, mai potrei con altri.
La tua Piastrella
Roberto Pedrani

Mezzobusto
Quanto tempo era passato? Quanti anni erano trascorsi da quando, per l’ultima volta, avevo abbracciato la mia donna per intero? Intendo dire un abbraccio a figura intera, senza niente che ti divida come un muretto della sala colloqui, che anche se è alto solo un metro t’impedisce ogni contatto che non sia quello delle mani.
Quel dannato muretto. In ogni carcere in cui ero trasferito era peggio che il Muro di Berlino.
Così Patrizia, la mia donna, era divenuta per anni un essere a mezzobusto, e ogni volta che la nostra ora di colloquio terminava, cercavo di osservarla, nella mia mente, per intero. Mi ritrovavo in cella, contento, certo,
di averla vista, ma mutilato nei sentimenti.
Ora ricordo quanti anni erano passati in quel modo: sette.
Sette lunghi anni di privazioni e di casini, con lei che m’inseguiva in quel mio continuo peregrinare negli istituti di pena di tutto il settentrione. Mai che la situazione migliorasse sotto l’aspetto dei nostri incontri.
Ma ora mi trovavo quasi a fine pena. Forse anche chi mi deteneva aveva capito che reprimermi non serviva più a niente. Ero finito in un carcere quasi a misura d’uomo, dove i muretti non ci sono più e al loro posto sono comparsi tavolini di plastica bianchi, con sedie identiche.
Non ci potevo credere quando, appena arrivato in quel nuovo posto chiesi, come di prassi, ai compagni trovati, in quali giorni si svolgessero i colloqui e con quali modalità. Si sa, “casanza che trovi, usanza che trovi”.
Per tutta risposta sentii quell’inaspettata novità, che si dice sarà pian piano adottata in tutta Italia.
Ricordo il telegramma che feci, l’ennesimo in tanti anni per avvisare a casa del posto in cui mi trovavo
e dei giorni disponibili per le visite.
Scrissi questo: “Mi trovo a Cremona...vieni presto.
Ci abbracceremo. Tuo Francesco”.
E’ incredibile come anche adesso, che sono passati tanti anni e sono uscito da quella carcerazione ma ne sto scontando un’altra, come il mio corpo sia pervaso da un tremito al ricordo di quell’incontro.
Attesi per giorni quel momento, certo di quando sarebbe avvenuto per aver ricevuto in telegramma di risposta. Ero felice come un bambino quando riceve un regalo di Natale. Contavo i giorni, poi le ore ed i minuti,
come se dovessi andare in libertà.
Finalmente la chiamata arrivò e quanto mi sembravano soavi quei corridoi da percorrere... pavimenti e muri che mi parevano prati e alberi e in testa e nel cuore un abbraccio.
La vidi. Mi aspettava già da un po’ e sul suo viso lessi l’incredibile contentezza di quella novità grandiosa
e impensabile dopo tanto penare.
L’ultima porta. Ancora un’ultima porta ci divide... e poi anche quel clangore ultimo di ferro scomparve.
Il nostro abbraccio fu lungo, infinito e il corpo attraversato da mille brividi di piacere.
Un piacere dimenticato ma sempre sognato.
Il mio viso si perdeva nel profumo dei suoi capelli.
Le mani potevano accarezzare la schiena e la stoffa di quel cappotto che mi sembrava la pelle più liscia mai sentita.
In piedi, corpo contro corpo, un unico corpo fatto di brividi ed emozioni e di un bacio lunghissimo, senza fine, che porto ancora dentro.
Ora Patrizia non c’è più, ha lasciato il mondo terreno da pochi mesi, ma continua a vivere dentro di me e di mille cose vissute insieme in tanti anni, anche in libertà. Quell’abbraccio e quel bacio furono e sono una cosa grande, una cosa che ricorderò per sempre.
Francesco Ghelardini

La lettera d’amore
Mi chiamo Santino Stefanini. Ho passato più tempo in carcere che non tra la gente libera. Quanto sto per raccontare è un passaggio del percorso che mi ha portato allo sgretolamento della famiglia, cioè alla separazione con la donna che amavo e dalla quale ho avuto un figlio.
Il mio arresto avvenne per una serie incredibile di reati, ben quattro mandati di cattura uno più grave dell’altro, omicidi, tentati omicidi, sequestri di persona, spaccio internazionale di stupefacenti, rapine e tanti altri fatti che mi venivano imputati. Per i pochi mesi passati libero sembrava strano anche a me l’avere commesso tante azioni criminali, ma per la maggior parte ne ero certamente colpevole.
Fui condannato a molti anni attraverso più processi, poi ridimensionati ad un’unica condanna di trenta, che accumulati ai dodici e mezzo già espiati precedentemente mi hanno destinato a passare quarantadue anni e mezzo in galera.
Tra il 1985 e il 1987 riuscii a restare fuori grazie alla nuova legge che considerava la decorrenza dei termini anche durante l’espiazione della condanna definitiva, infatti a seguito di una delle due evasioni, avvenute durante la condanna a tredici anni (esattamente la seconda), venni riacciuffato dopo un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. Dopo tre anni che ancora non era stata chiusa l’istruttoria fu redatta appunto una legge che non permetteva ai Magistrati di trattenerti in prigione per reati commessi durante l’esecuzione di un’altra indagine senza dei termini ben stabiliti, in pratica se vi era un nuovo ordine di cattura, la decorrenza seguiva il suo iter anche se ci si trovava detenuti per altre cause.
Terminai il residuo della restante condanna di tredici anni e tornai in libertà con l’obbligo della firma giornaliera usufruendo della scadenza della custodia cautelare.
Conobbi, anzi è più giusto dire che ritrovai, una bellissima ragazza che avevo visto nascere e lasciato tanti anni prima ancora bambina, la sorella del mio amico d’infanzia. Tra noi si instaurò immediatamente un rapporto di
simpatia e alla fine iniziammo una relazione che portò alla nascita di nostro figlio Eros.
Durante quei due anni non cambiai modo di vivere, impegolandomi nuovamente nell’ambiente della criminalità.
Nonostante ogni giorno dovessi recarmi in Questura ad apporre la mia firma su un apposito registro, trovai ugualmente il modo di guadagnare attraverso attività illecite. Ma non fu il solo errore, il più grave si riscontrò nel tempo, quello di trovarmi un’altra donna e di intraprendere un’ulteriore relazione. Fatto sta che la mia vita correva su due binari: due appartamenti; due attività; mezza giornata da una parte e mezza dall’altra. Compagna e figlio, la mia famiglia e inoltre l’amante.
Questa storia si protrasse per circa un anno e mezzo, fino al momento dell’arresto. Qualche mese dopo le lettere di fuoco e di speranze ad un augurato e veloce ritorno in libertà, terminai i miei rapporti con l’amante, spiegandole che era una cosa che non sarebbe potuta continuare, dato che il mio amore per la mamma di mio figlio prevaleva su ogni cosa… e conclusi così quella relazione extraconiugale.
Proseguivo i miei colloqui tranquillamente, vedendo il mio piccolo che faceva i primi passi sul bancone divisorio e considerando l’emozione che mi dava ogni volta sua mamma. Non mancavo di raggiungerla con le mie lettere e così ricevevo giornalmente le sue… fino al giorno in cui durante un colloquio mi chiese se avessi avuto una relazione con un’altra donna quando eravamo insieme, naturalmente negai mentendo spudoratamente, anzi quasi l’aggredii per la domanda che mi aveva posto.
La cosa non finì così, ad ogni colloquio mi esponeva i suoi dubbi alla ricerca della verità. Andò avanti un anno, questa farsa delle sue domande e delle mie risposte, quasi ossessivamente cercava di capire dando lucidità ai miei momenti di assenza nel periodo in cui eravamo insieme, alle notti che mancavo, ai giorni che sparivo.
Giunse il giorno in cui, ormai esausto della sua martellante voglia di sapere, presi posizione e le dissi che le avrei detto la verità ma che non avremmo più discusso del passato. Rispose di sì.
Mi sbilanciai in una mezza verità raccontandole che qualche volta era capitato che ero stato a letto con un’altra.
Non l’avessi mai fatto. Notai uno sguardo d’odio sul suo volto, come se le facessi schifo. Cercai di avvicinarla
a me prendendole un braccio ma si ritrasse, le domandai cosa avesse. Lei mi rispose: “Nulla.”. Terminammo
il colloquio quasi sul silenzio, o perlomeno lei non proferì più parola, mentre io cercavo di giustificare il fatto sminuendo il più possibile l’accaduto e il tempo ormai trascorso, concludendo che le avrei scritto la sera stessa. E così feci, evitando qualsiasi discorso del passato, una lettera d’amore lunga e appassionata alla quale pensai
di ricevere sicuramente una risposta. Eccola:
“Per te scriverei un libro, per te canterei le canzoni d’amore degli autori più grandi, per te leggerei le poesie di Garcia Lorca e ti starei accanto in ogni attimo della mia vita. Per te e soltanto per te combatterei contro gli dei, per tenerti vicina.
Mai al mondo nulla di così grande, di così importante da farmi perdere la ragione, da farmi bere per non pensare, di fumare quasi tre pacchetti di sigarette al giorno per sfuggire le tensioni, di svegliarmi di notte con il tuo viso presente e la dolcezza del tuo sorriso.
Solo per te io sto morendo… morendo d’amore.
Soltanto vicino a te io sto bene, solo te e sempre te …
per sempre.
Tutto il mio sentirmi grande è svanito, tutta la mia sete di sesso è scomparsa, ogni mio desiderio si è confuso nella nebbia, anche i giochi delle nuvole si mostrano a me come tue immagini e il tempo scandisce le note della tua voce. Ho solo te nel cuore e le parole per mostrarti l’ampiezza dei miei sentimenti… e non riesco a entrare
in te come vorrei, non riesco a farmi credere, a carpire i tuoi segreti per sentirmi importante.
Tutte le storie più grandi hanno avuto dei risvolti drammatici: Giulietta e Romeo, Isotta e Tristano, Francesca e Paolo, Beatrice a Dante e tanti altri. Amori intensi e tristi, ma importanti tanto da versare fiumi d’inchiostro perché non siano dimenticati.
Io so che questo amore che sto vivendo non è meno ricco del loro, ha la stessa intensità e colore, ha la stessa volontà di lottare, di crederci fino in fondo, riesce a nascondermi ogni difficoltà, riesce a cancellare tutto ciò che vi è attorno.
Voglio solo darti amore, restarti accanto, farti sentire importante come lo sei più di ogni cosa esistente…
di ogni cosa che posso conoscere.
Che vita proseguirei senza te? Cosa sarebbe il nostro futuro se non possiamo toccarci, parlarci, assaporare
le nostre labbra?
Senza te non posso vivere, mi spegnerei lentamente e non avrei dato il reale senso all’esistenza. Che sacrificio sarebbe proseguire non amando chi ami? Non giocando con te, non parlando con te, non sentirti al mio fianco
in ogni momento…
Solo dolore e tristezza, solo il rimorso di una vita che avrebbe potuto essere e non lo è stata.
Ma tu pensi a domani… noi due lontani, senza più vederci, senza più incrociare gli sguardi, senza più percepire il nostro amore, che è nascosto ma tangibile, anche l’aria lo comunica, ogni cosa parla di noi. Tu vuoi cucinare per me, tu sai mettermi a posto la cravatta se è storta… e io posso vivere solo guardandoti, ammirare la tua figura, il tuo corpo, i tuoi passi.
Questo desiderio di abbracciarti forte, di sentirti stretta contro di me, di sentire la tua bocca sulla mia, di sfiorare la tua pelle e sentire le tue mani sul mio corpo. Quella voglia incredibile che niente può cancellare, i miei sensi che si svegliano solo a sfiorarti, la tenerezza che mi comunichi quando la tua mano mi tocca. Cosa sarebbe
il tempo senza le emozioni che provo con te vicina?
Niente, non conterebbe assolutamente niente, tutto diventerebbe inutile, solo lacrime dentro noi stessi,
un sacrificio da portarsi dentro per sempre e il rimpianto di non avere vissuto un grande amore colmo di gioia e
di felicità.
Hai ragione Amore mio, siamo simili, ma non soltanto per le idee che ci uniscono, siamo simili perché siamo un unico corpo, solo insieme siamo noi stessi, e divisi saremmo sempre solo una metà di noi, ci mancherebbe troppo l’altra parte e staremmo male per tutto il tempo che ci resterebbe.
Non potrei mai tradirti, sei riuscita a scacciare quella furia che mi portavo dentro, quel desiderio di sfidarmi, con nella testa solo il desiderio di punire chi mi aveva fatto del male. Oggi non c’è più quel pensiero, sei apparsa nella mia vita, così dirompente e magica e sei riuscita a cancellare la rabbia inconscia. Provo fastidio al corpo di un’altra vicino a me, solo te bramo, desidero, e amo come non ho mai amato in vita mia. Solo se ti scrivo, solo se ti penso riesco a conciliarmi con me stesso.
Spaziando con la mente vedo il nostro domani insieme e mi sento bene, mi sento vivo, mi sento un uomo pronto a dare tutto me stesso per rendere felice la donna che amo. Sei così dolce e tenera che non posso immaginarti lontana. Ogni cosa vive di te, hai scacciato tutte le ombre che portavo dentro e il destino ti ha avvicinata a me.
Non scherzavo, amore mio, dicendoti che i miei sensi si accendono soltanto con te, non so perché questo sia successo, o meglio so benissimo il motivo ed è semplice da spiegare, è perché ti amo, sono innamorato di te come un quindicenne che si dispera. Quanto ti dico mi esce dal cuore e mi fa male sentire le tue esternazioni d’incertezza. E’ vero, è la cosa più bella che potesse capitarmi, è qualcosa d’inspiegabile, ma tu sei il grande Amore della mia vita.
Non è possibile che solo io sia a provare queste sensazioni, ti sento troppo e nel mio cuore percepisco che anche tu provi le mie stesse emozioni, anche tu stai male se non ci vediamo, se restiamo in silenzio, se non dialoghiamo tra noi. Anche tu vorresti restare sola con me e sogni il momento in cui potremo scambiarci
un bacio, concedendo tutti noi stessi a noi soltanto.
Ho troppo bisogno di te e tu sai bene che con me ti sentiresti la Regina che sei.
Quanto amore ho da darti, nessuno al mondo potrebbe amarti come ti amo io. Sei bellissima, sei splendida, sei dolce e meravigliosa. Resterei ore ed ore ad accarezzarti, a baciarti, a stringerti a me con la passione più intensa che un uomo potrebbe mai dare. La tua pelle mi fa impazzire, il tuo viso sa scaldarmi, la tua voce mi fa rinascere, ogni tuo gesto porta melodia. Non puoi essere di altri uomini, i nostri cuori battono insieme e nessuno potrà mai separarli.
Amore mio, come posso non scriverti queste cose, come posso vivere in silenzio quando ho tanto da dirti e da darti. E’ tutto così pazzesco, era tutto così imprevedibile e non nascondo le mie colpe o la stupidità di sentirti irraggiungibile, ma ora ti sento mia, mia come mai nessuna lo è stata, e io sento di essere solo tuo, di appartenere a te. Non è soltanto desiderio il nostro, è Amore!
Se il mondo crollasse cercherei di uscire dalle macerie per cercarti, ma se non ti dovessi trovare vorrei sparire nel nulla. Non potrei concepire la vita senza te al mio fianco, non ci sarebbe poesia, non avrebbe senso. Tu sei la mia donna, la mia compagna, l’unico scopo dell’esistenza. Non sto giocando, tesoro mio, sto solo dicendoti che ti amo e senza te non voglio vivere.
Le parole mi escono così, senza bisogno di studiarle, sono talmente semplici e contemporaneamente complicate per esprimere l’intensità che vorrei per fartele comprendere fino in fondo. La frase più semplice sarebbe dire “ti amo”, ma la sento povera per quanto è intenso questo sentimento, eppure sono le parole più significative dell’intero universo. Amore, amore, amore e amore ancora, quanto sento di potertene dare, quanto vorrei averti nella mia mente per fartelo leggere nei pensieri, forse allora capiresti di essere il centro del mio universo, di essere il punto principale della fede. Tu e solo tu sei la gioia di vivere e senza averti vicina sono perso, sono un uomo senza nulla. Non riesco ad accettare questo sacrificio, non ho lacrime abbastanza da versare fino all’ultimo giorno del commiato alla vita.
A volte ti sento crudele ma nello stesso tempo sofferente perché non puoi esprimere i desideri, a volte ti leggo distaccata e contemporaneamente con il pianto nel cuore perché stai male nei lunghi silenzi che ci dividono. Tu provi le mie stesse sensazioni, ne sono sicuro. Non vi sarebbe logica in caso contrario; il saluto velato sopra una cartolina sarebbe il minimo gesto che due amici potrebbero farsi, ma non è così per noi due; noi non ci salutiamo e cerchiamo di snobbarci, ma sono solo segnali di autodifesa che ci fanno star male e ci fanno pensare ancora di più che non possiamo fare a meno l’uno dell’altra.
Dentro te stessa hai sicuramente già guardato, come io ho guardato in me stesso e sappiamo benissimo di appartenerci, siamo consapevoli che il futuro non può più allontanarci se non con grande sacrificio, un sacrificio a cui io personalmente non voglio arrivare perché senza di te non vedo nulla, solo un grande vuoto che mi lascerebbe l’amaro per il resto dell’esistenza.
A volte penso a quanti anni persi, al tempo che non ci è stato concesso, a come tutto avrebbe avuto un altro senso, al percorso che avremmo potuto condividere, tra gioie e dolori, e sono certo che nulla avrebbe potuto scalfire una cosa così intensa, ci ameremmo sempre come il primo giorno nonostante le ripicche o le liti in cui saremmo incappati lungo la strada. Non sei così dura come vuoi fare intendere: sei molto fragile nonostante sai nascondere le lacrime dietro una corazza che non ti appartiene, ed io non sono molto diverso da te anche se ho meno timore di quanto ci attornia, i miei comportamenti ne sono la conferma.
Vorrei chiamarti solo Amore, vorrei te per sempre, vorrei averti vicina, vorrei i tuoi sguardi e i tuoi sorrisi solo per me, vorrei che i miei occhi non vedessero nient’altro che te… perché tutto il resto non ha importanza.
Amore, tu mia vita, tu mio tutto, soltanto te e nient’altro che te, cos’altro può esserci di così sublime, grande, immenso, oltre l’amore che sto provando?
Questa lettera non è il frutto di una mattinata o di oggi, ma sono i pensieri che ti rivolgo giorno dopo giorno perché tu sappia che la mia mente vive di te soltanto, nel bene e nel male, questo in riferimento ai lunghi silenzi, anche se sono sicuro di essere nei tuoi pensieri come tu appartieni ai miei… nonostante a volte non ci diciamo nulla per lunghi periodi. Certe notti mi prende una gran voglia di piangere, ti penso lontana, forse solo io innamorato e tu indifferente; poi rifletto e mi dico che non può essere possibile, non avresti certi comportamenti e non capterei la tua rabbia e la tua sofferenza, emozioni che possiamo percepire soltanto noi due. Chissà perché amare comporta sempre dolore? Eppure dovrebbe essere la cosa che rende più felici nella vita, invece si soffre e fa star male.
Quante volte hai pensato di mandarmi al diavolo? Quante volte hai pensato di allontanarmi o allontanarti da me? Sono certo che l’avrai fatto mille volte, come ora che starai lavorando o sarai impegnata nelle faccende domestiche, ma nel tuo cuore sai che non è quello che vuoi, è solo la rabbia che parla per te… e per me.
Ogni tanto sento il tuo sguardo che mi sfiora attraverso delle fotografie… e forse tu senti i miei rubarti l’immagine, sono solo i nostri occhi che non si incrociano, anche perché resteremmo incantati se così fosse, e visto che siamo dei “duri” nessuno cede. E’ la mente che ci frega, sono i pensieri che non ci fanno rilassare… poi, i tuoi, io li immagino: “chi si crede di essere… ma vada al diavolo…”, anche se non sono tutti così perché ogni tanto vorresti dirmi qualcos’altro di diverso, di più dolce.
Non voglio commentare quello che è successo tra noi due. Tu porti le tue convinzioni alla tua ragione e io le porterei alla mia, tralascio la discussione perché alla fine sarei io a soccombere visto che con te sono il più debole, questo lo sai bene e la cosa ti fa pure sorridere, ma questa è solo la dolcezza che c’è in te e la forza dei tuoi sentimenti… che continui a sforzarti di trattenere dietro la corazza. Non parliamone più… anche se ricevendo il mio scritto sarai incuriosita, lo so, e certamente l’aprirai con frenesia. La cosa che più è importante dovrebbe essere questo Amore con la “A” maiuscola, difficile e complicato ma infinitamente immenso, che alla fine ci fa sentire e provare bellissime sensazioni e desideri, e, per quanto sento io, un futuro che ci appartiene.
Ora amore mio termino questa lunga lettera, a differenza tua io riesco a scriverti che ti amo anche durante le nostre crisi, visto anche che faccio molta fatica a nasconderlo e ad esserne indifferente, però almeno ti faccio arrivare il mio messaggio affinché ti sia sempre presente. Non mi resta che inviarti un tenero abbraccio e un bacio appassionato con tutto il mio amore.

P.S. Ora non restare lì pensierosa o con un po’ di broncio, tante situazioni si creano a dispetto da ciò che si desidera, fra un po’ rileggerai la mia lettera e il tuo umore riprenderà a brillare sfornando l’allegria che è dentro di te. Ti amo.”
A questa lettera non arrivò mai la risposta sperata. Anzi, confermò la sua decisione di troncare definitivamente la nostra relazione nel colloquio successivo. Non feci nulla per evitare il tracollo finale, l’orgoglio di maschio m’impedì di supplicarla e di concedermi un’ulteriore prova di riscatto ai miei errori. Rimasi in silenzio e le dissi che se era ciò che desiderava poteva pure rifarsi una vita, che non ci sarebbero stati problemi. D’altra parte davanti a me c’erano ancora troppi anni da espiare e ogni giorno sarebbe stata una tortura pensarla senza poterle essere vicino. Forse sarebbe stato meglio così.
Nei mesi che seguirono i mie nervi iniziarono a frantumarsi; non servì a nulla impegnarmi su più fronti, la frequenza di un corso specializzato di falegnameria, sport e televisione non m’impedivano l’insonnia, un continuo girarmi da una parte all’altra del letto pensandola e ripensandola, e qualsiasi scena di un film, anche banale, mi faceva sfogare in pianti di disperazione, tutto nel silenzio della cella dove nessuno poteva venire a conoscenza delle mie debolezze.
Le nostre lettere, ormai di cortesia e per darmi notizia della salute di mio figlio, diventarono sempre più rade, mentre le telefonate settimanali servivano soltanto per sentire la voce del bambino che immancabilmente mi domandava quando avrei finito di lavorare e quando sarei tornato a casa (…)
Tante volte penso a cosa sia servita tutta la mia vita, a cinquantun’ anni e con trent’ anni passati nelle patrie galere, l’avere perso tutte le cose importanti e la stessa libertà nella ricerca dei beni materiali, quel volere essere per forza qualcuno tra i ragazzi del quartiere, mostrare uno stupido coraggio e una bella macchina, addentrandosi sempre più nei meandri di una criminalità spietata dove le sole regole sono le tue.
Durante le riflessioni o le discussioni con i miei compagni ristretti non manco mai di dire che se potessi tornare indietro questa vita non la farei più, non potrei rinunciare alle cose belle che esistono, alla tranquillità, alle vacanze estive o alle feste in famiglia, non potrei rinunciare a una compagna che si addormenti con me e si risvegli con me ogni giorno. E’ costata troppe lacrime, troppo dolore, solitudine, impotenza.
Se la detenzione non impedisse di mantenere vivi i propri affetti, molte cose si risolverebbero diversamente. Non è possibile, in una sola ora settimanale, in cui ci si trova in un parlatorio con decine di altri visitatori e detenuti, dare delle certezze e costruire il futuro. Molte volte la disperazione prende il sopravvento e i minuti trascorrono attraverso i silenzi. Questa condanna non è inflitta soltanto a chi è condannato ma si estende alle mogli, alle fidanzate, ai figli, alle madri e a tutte le persone che si amano.
Santino Stefanini

Tuesday, March 14, 2006

TRE METRI SOPRA IL CIELO 2

".....Avete presente la maionese? Si la maionese, quella nelle vaschette del fastfood, quelle che spremi i tubetti e viene fuori. Credo non ci sia niente di più difficile da fare, mettere insieme le uova, il limone, il sale e l'olio.....bè credetemi in confronto forse è più facile innamorarsi di qualcuno che non pensavi mai e poi mai che ti sarebbe piaciuto. Davvero la maionese è così....può impazzire da un momento all'altro. Un istante sembra perfetta e un istante dopo tutti gli ingredienti se ne stanno per i fatti loro. Ma se ci riuscite non ci sarà più niente che vi potrà fermare.....!


"....e tutto quello che devi fare è metterti le cuffie, sdraiarti per terra e ascoltare il cd della tua vita, traccia dopo traccia nessuna è andata persa, tutte sono state vissute e tutte, in un modo o nell'altro, servono ad andare avanti. Non pentirti, non giudicarti, sei quello che sei e non c'è niente di meglio al mondo. Pause, rewind, play e ancora e ancora e ancora, non spegnere mai il tuo campionatore, continua a registrare, a mettere insieme i suoni per riempire il caos che hai dentro e se scenderà una lacrima quando li ascolti non avere paura....è come la lacrima di un fan che ascolta la sua canzone preferita.
FM107.3 radio caos il tuo bpm. Tutto il resto.....è rumore bianco"

Monday, March 13, 2006

TRE METRI SOPRA IL CIELO

Oggi per l'ennesima volta ho rivisto questo film.....certamente vi chiederete cosa mai abbia di bello. Forse nulla o forse no......è sicuramente un film che parla d'amore, ma anche di diversità, di diversità nel concepire le cose, le persone, le situazioni. Una diversità che spaventa ma attrae, che ti arricchisce anche se ti divide......ma chissà poi se è solo tutto in apparenza e alla fine ciò che conta è il sentimento.....
[".....Ho paura di dirti qualcosa di sbagliato....ti amo"
"Ridimmelo"
"Ti amo"
"Non smettere mail di dirlo"
"Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo...."
"Non sono stata mai così felice in vita mia"
"Neanche io"
"Così felice da toccare il cielo con un dito?"
"No, milto di più. Almeno tre metri sopra il cielo"........]

Friday, March 10, 2006

diverso amore....parola dal e del carcere

Diverso amore
Qualcuno potrebbe pensare che la condizione di omosessuale in carcere sia meno afflittiva di altre: in fondo non si soffre della mancanza di rapporti con l’altro sesso, o ne si soffre meno, e proprio questa mancanza negli altri a volte potrebbe tornar utile al raggiungimento di obiettivi che in altre situazioni sarebbero impossibili. La gente troppo spesso reputa la sessualità altrui in modo grossolano, facendola scadere quasi a livello bestiale. Ho spesso sentito dire che la “mancanza” in qualche modo bisogna pur riempirla, per cui in certe condizioni è facile lasciarsi andare a comportamenti lascivi, “contro natura”: tutta una vulgata su questo registro è fin troppo nota, tanto da passare alla fine per veritiera.
Invece, contro l’immaginario distorto della peccaminosa mentalità popolare, la condizione di un gay è ancora più penosa dietro le sbarre che altrove, al limite della sostenibilità.
Dovete sapere che il carcere rimane uno degli ultimi baluardi del maschilismo vecchia maniera, quello fascista e violento per intendersi, e chiamarlo “da caserma” sarebbe un appellativo fin troppo soft.
Qui gli omosessuali non sono solo emarginati, si trovano piuttosto a vivere una condizione subumana, da reietti, confinati in sezioni protette con gli infami, i violentatori,
i pedofili: cioè al pari di tutte le categorie che sono trattate come appestati.
La direzione delle carceri di norma separa gli omosessuali per precauzione; sostiene di farlo per la loro sicurezza. In realtà, così facendo, avalla un modo
di sentire che con gli anni non è minimamente cambiato, come invece è avvenuto in genere nella società civile.
In carcere gli omosessuali sono riconosciuti in primo luogo e senza dubbio per il loro aspetto nel caso dei transessuali o dei travestiti, povere creature che anche dietro le sbarre ancora ostentano i connotati di una femminilità esagerata fino alla caricatura.
Sono inoltre identificati perché nella gran parte dei casi
il loro reato è legato all’ambiente omosessuale, come per
la prostituzione, arresti a causa di liti violente degenerate nel penale tra coppie di genere, tragedie in famiglia a seguito di un identità spesso rifiutata o combattuta.
Per chi invece, come me, entra in carcere per un reato comune, e non ha alcun particolare nell’aspetto o nella voce che lo denuncia come tale, conviene non dichiarare mai la propria inclinazione sessuale, se non si vuole finire in uno di quei gironi infernali ai quali accennavo prima.
Facendo così invece ci si trova insieme a tutti gli altri “normali”, nella speranza di poter scontare la propria pena in una situazione più dignitosa, se non altro non peggiore di quella di tutti gli altri, con le stesse possibilità di studio, lavoro, ricreazione o quant’altro il carcere possa saltuariamente offrire.
Detto così sembra facile, in realtà non lo è affatto; anche in un caso come il mio nel quale non mostro affatto mosse, vezzi o tic delle mie inclinazioni, quelli che per capirsi piacciono tanto ai registi dei B movie tipo
Il vizietto, si vive sempre nel terrore di essere smascherati.
Si ha per esempio paura di incontrare prima o poi in carcere qualcuno che ci conosceva da prima e che sapeva. Si ha paura di tradirsi involontariamente: così non si riesce mai a lasciarsi andare, e si sta sempre in guardia. Nelle carceri le battute, i lazzi e le scimmiottature
dei comportamenti “da checca” non sono all’ordine del giorno, ma quasi del minuto, con un’insistenza
che almeno all’inizio mi sconvolgeva.
A volte qualche battuta sagace indirizzata a me mi faceva d’un tratto precipitare nel panico: che se ne fossero accorti? Mi sembrava di essere diventato di cristallo,
e che tutti potessero vedere come ero veramente.
Allora cercavo di darmi un tono per riprendermi e rispondere sullo stesso tono, di portare avanti lo scherzo, anche se la voce mi tremava e non avevo affatto lo stato d’animo per la canzonatura. Dovevo comunque stare
al gioco, e devo dire di esserci riuscito molto bene, che io sappia nessuno ha mai nemmeno sospettato qualcosa; ma questo allora non potevo saperlo, e il dubbio e l’ansia mi consumavano. Sono arrivato al punto da farmi un
po’ schifo: io per primo spesso facevo battutacce sugli omosessuali, ma lo facevo proprio per esorcizzare le mie paure.
Questa giustificazione evidentemente non mi bastava, che tutto ciò fosse una difesa non compensava la mia ipocrisia: il mio è un segreto con il quale non è facile convivere a lungo. A volte mi capitava quasi di invidiare quei disgraziati che vivevano tra loro nelle sezioni protette; almeno a loro, anche se all’inferno, era concesso di essere se stessi, a me no. Ogni scelta ha il suo prezzo, io dovevo pagare il mio, ed era un conto amaro.
Non sono mai arrivato al punto di perseguitare qualche omosessuale assieme al branco della popolazione detenuta come spesso avviene nel caso ne venga scoperto uno: quando qualcuno viene beccato con le mani nel sacco (che allegoria!) in galera scatta subito una severa lezione che viene impartita dal basso.
I rei di atti contro la morale e il protocollo maschilista, cazzuto e intransigente dei veri machi duri determina un severo castigo fatto di botte e umiliazioni ai rei, più il loro immediato allontanamento dalla sezione e dal consorzio malavitoso.
Così accade: io mi identificavo troppo con le vittime per poter intervenire in qualsiasi modo, nemmeno per placare gli animi e fare in modo che almeno il pestaggio risultasse meno violento, ero così terrorizzato da potermi un giorno trovare in quelle stesse condizioni da preferire di gran lunga la rinuncia ad ogni costo: non ci potevo nemmeno pensare di espormi a rischi del genere per una soddisfazione così fuggevole.
Il guaio è che ci si innamora: ho scoperto a mie spese
che il sesso si può chiuderlo fuori dalla porta, non pensarci, o cercare di pensarci esclusivamente nella più completa solitudine, ma l’amore no, l’amore è un sentimento che ha una forza dirompente anche in persone prudenti come me, molto prudenti direi.
Per di più capita all’improvviso, e quasi sempre verso persone nei confronti delle quali non si avrebbe alcuna speranza, nemmeno in condizioni diverse.
Mi sono innamorato di un mio compagno di stanza; ovvero sono riuscito a farlo venire nella mia stanza perché già mi interessava da morire e volevo conoscerlo meglio, ma è stato un atto sconsiderato, un gesto
di autentico masochismo: mi sono costruito da solo l’inferno e mi poi ci sono chiuso dentro.
Lui è un ragazzo meraviglioso, tenerissimo, ma inguaribilmente etero, adesso me ne rendo conto,
ma la persona innamorata si culla di illusioni, si ciba di speranze impossibili. Per lungo tempo ho cercato
di interpretare dei suoi gesti, delle sue piccole attenzioni nei miei riguardi come segni di una sua corrispondenza sentimentale.
Purtroppo erano solo miraggi, fantasie, parti di una mente stregata da un fascino irresistibile.
Avrei fatto qualsiasi cosa per un suo sorriso, ciò malgrado non mi sono mai lasciato trascinare dai miei sentimenti in atti concreti; anche in questo caso ho continuato a sostenere la mia parte. Infatti il nostro rapporto era di amicizia nel senso di amicizia virile, so che lui è mio amico, e so anche quanto per certi versi mi ammiri, quanto mi rispetti, quanto mi voglia persino bene.
E’ proprio per questo che è ancora più difficile per me anche semplicemente sperare di poter un giorno avere un altro tipo di rapporto con lui; da una parte mi sembrerebbe quasi di tradire la sua fiducia.
Lo conosco troppo bene, so che se gli dicessi apertamente quello che provo per lui, dopo un primo momento
di sorpresa e d’incredulità, mi odierebbe. Sì arriverebbe ad odiarmi perché interpreterebbe tutto quello che
ci siamo detti, tutto quello che ci siamo confidati in lunghe notti passate al buio a parlare in maniera diversa. Ho troppi bei ricordi del tempo passato con lui per pensare solamente per un attimo di rischiare tutto ciò. Nella vita normale non si parla, ci si dicono magari molte cose, ma non si dialoga più veramente. Solo il carcere
dà il tempo, il luogo, lo stato d’animo e la concentrazione per aprirsi veramente all’altro. Lui si è aperto con me, mi ha raccontato tutto di se stesso, anche particolari imbarazzanti, scabrosi, cose che in genere non si dicono a nessuno. Io evidentemente non l’ho fatto, ovvero l’ho fatto, ma fino ad un certo punto, fino a dove potevo farlo.
Tutto questo lui non lo capirebbe, già lo so, non può capirlo perché non sa quanto io lo ami.
La bellezza del rapporto che ho costruito con lui che è parecchio più giovane di me è proprio il mio castigo e la mia dannazione. Sono prigioniero di un ruolo che mi sono costruito nella fantasia di averlo, ma nel quale ho fallito, per finire per trasformarsi in un’altra cosa, bellissima, ma nello stesso tempo crudele.
L’abitudine alla menzogna e al trasformismo questa volta mi è costata cara. Sono riuscito a gabbare sempre tutti,
e alla fine è toccato anche me.
Guido Conti

LA CYBERDIPENDENZA

1.1 Il fenomeno - 1.2 Le prospettive pastorali - 1.3 La Parola ci interroga
1.1 IL FENOMENO
Uno dei capitoli del quinto rapporto di Caritas Italiana e Fondazione Zancan sul tema del disagio e dell’esclusione sociale in Italia (intitolato "Vuoti a perdere") si riferisce alle dipendenze senza sostanze, ossia a fenomeni di dipendenza che non sono legati al consumo di una sostanza psicotropa (droga, alcol, farmaci, ecc.). Rientrano nelle nuove dipendenze senza sostanze fenomeni molto diversi tra loro: il gioco d’azzardo, la dipendenza da cellulare, lo shopping compulsivo, la dipendenza da lavoro, la dipendenza da sforzo fisico, la cyberdipendenza (dipendenza da internet) e altre. I dati su tali fenomeni non sono sempre disponibili. Nel rapporto si tenta di fornire alcune statistiche di sfondo:
§ secondo i dati Istat relativi al 2000, 2.948.000 persone (il 5,7% della popolazione italiana) dichiara di utilizzare internet tutti i giorni;
§ il 4% dei ragazzi di età compresa tra 11 e 14 anni e il 7,5% dei 15-17enni dichiara di utilizzare internet tutti i giorni.
(da "Italia Caritas" novembre 2004, a cura di Walter Nanni)
La cyberdipendenza: un po' di documentazioneLa dipendenza da Internet, nota come Iad (Internet Addiction Desorder), è un problema relativamente nuovo. Le persone che ne sono affette sono caratterizzate da un desiderio spasmodico di trascorrere in rete la maggior parte del proprio tempo. È una droga, non diversamente dall'alcool o dalla cocaina e, come nel caso delle sostanze citate, serve all'individuo per fuggire alla realtà.L'impiego esagerato di Internet comporta il manifestarsi di disturbi psicologici, che a volte sfociano in veri e propri disordini psichici. Alcuni esempi:
dipendenza da relazioni virtuali: si riscontra una dipendenza da relazioni virtuali, tramite e-mail, a discapito di contatti reali;
dipendenza da eccesso di informazione: l' abbondanza di notizie che Internet offre, può indurre ad esagerati ed estenuanti zapping da un sito all'altro, sempre in ricerca di nuove informazioni;
dipendenza da sesso virtuale: il sesso virtuale si era diffuso in un passato recente con le linee telefoniche erotiche. Internet oggi offre la possibilità di disporre di siti e chat-line a luci rosse. Questa devianza sessuale comporta una tale gratificazione da ridurre il desiderio di una normale vita di relazione.
La ricaduta umana e psicologicaLa persona cyberdipendente si isola sempre di più, trascura gli amici e i familiari e vive in simbiosi con il suo sistema informatico che esercita su di lei un vero e proprio fascino. Spesso la sua curiosità e la sua voglia di sapere non solo sono appagate, ma arricchite dalla possibilità di esplorare il mondo per conoscere tutte le informazioni possibili. Davanti al computer ha la sensazione di dominare il tempo e di superarlo, si lascia completamente attrarre dal sistema che gli permette di vivere esperienze molteplici.L'utilizzo continuo del computer, di Internet, come anche dei videogames, può ed è causa di disturbi che fino a poco tempo fa nessuno conosceva; sono nuove patologie, sindromi da dipendenza da Internet.Ad esempio, osservando alcuni frequentatori di chat, emerge, in modo evidente, il desiderio di comunicare, di confrontarsi. Già con l'avvento della televisione, la possibilità di comunicare e la capacità critica si sono ridotte e l'attenzione è stata orientata sull'effetto apparente più che sul contenuto.Nella società contemporanea si registra una seria mancanza di tempo per coltivare rapporti umani, un diffuso malessere relazionale, una limitazione dei momenti di aggregazione e comunicazione. In rete si cerca di riappropriarsi di ciò che è sottratto al reale.Il "virtuale" che si manifesta è una parte del proprio sé (conscio o inconscio) che esce allo scoperto. In altre parole, quella parte che si manifesta è una componente del carattere, quasi completamente soffocata nella vita reale. In rete, cioè, si esprime la realtà che difficilmente si riesce a mostrare. In effetti le nuove patologie non si sono create con la diffusione della comunicazione telematica, ma questa modalità rappresenta una manifestazione di situazioni già patologiche. Non è il virtuale a creare personalità multiple, il sé è già multiplo e trova nella rete un canale ideale per manifestarsi.Secondo Tonino Cantelmi, presidente della Federazione italiana Psicologi e Psichiatri cattolici (la cui linea ideologica sul fenomeno diverge dalla posizione interpretativa dello psicologo Mauro Croce, coautore del capitolo "Dipendenze senza sostanze" del quinto rapporto Caritas-Fondazione Zancan), «in rete esiste solo la connessione e non la relazione; la relazione, infatti, implica l'adattamento all'altro, l'ascolto dell'altro, il dialogo con l'altro, lo "specchiarsi nell'altro", mentre nella relazione in connessione si incontra la personalità on line, cioè non tutto noi stessi, ma quella parte di noi che in quel momento mettiamo in gioco in rete. Nella vita reale è lungo e non sempe facile il cammino per arrivare a conoscerci profondamente, nella realtà virtuale basta soltanto essere "molto connessi". Con la posta elettronica si esprimono certamente anche cose personali, ma questo modo di comunicare non corrisponde mai completamente a quello della comunicazione nella realtà. Per evitare dissociazioni mentali o devianze psicologiche, è necessario integrare queste relazioni, considerando la realtà virtuale come un'espansione del mondo reale, non un'alternativa». (da un'intervista rilasciata a Danilo Angelelli per una ricerca della facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza").
L' evoluzioneNonostante le patologie da dipendenza sopra descritte, non si può negare che l'avvento di Internet ci ha messo davanti ad un profondo cambiamento tanto da poter dire che siamo di fronte ad un nuovo passaggio evolutivo dell'umanità.L'uomo del terzo millennio, probabilmente, sarà diverso: la mente in Internet produrrà cambiamenti di cui non potremo non tener conto.Si può supporre che fenomeni, per ora descritti come psicopatologici, potrebbero essere in realtà gli indicatori di una evoluzione dell'uomo del terzo millennio (homo tecnologicus). In effetti è in atto una rivoluzione, quella digitale, che, aprendo inediti universi di conoscenza e di esperienza, ha già cambiato il registro delle nostre possibilità mentali e sensoriali, contribuendo ad impostare un nuovo modo di pensare e vivere, e nuove modalità di avvertire il rapporto con se stesso, con l'altro da sé e con il mondo.Inoltre le attuali tecnologie mediatiche, oltre a fungere da volano del cambiamento sociale e culturale, stanno aprendo nuove prospettive di studio e di ricerca per l'antropologia, la sociologia, la psicologia, la psichiatria.
1.2 LE PROSPETTIVE PASTORALI
Anche da ciò che è stato sin qui detto, si desume che viviamo in una società che ogni giorno di più ci spinge verso forme di consumo indiscriminate, sproporzionate rispetto ai nostri reali bisogni. Tale cultura, tipica delle nazioni occidentali moderne, accanto agli innegabili vantaggi, produce in parallelo aspetti problematici non trascurabili.Succede così che attività di per sé fisiologiche e "normali" come il gioco, l'uso di Internet o dei cellulari, lo shopping, la televisione e perfino il lavoro, assumano una dimensione di problema, allorquando si oltrepassano i limiti.E proprio nel momento in cui ciò accade, possono essere messi in atto comportamenti compulsivi, condotte di dipendenza, o possono essere assunti rischi eccessivi.Si tratta di forme di "dipendenza senza sostanze" che possono provocare gravi disturbi per l'individuo e la società.
Cosa si può fareA partire da questi dati, seppur sintetici e parziali, ci si potrebbe muovere in queste direzioni:
osservare la realtà quotidiana per analizzare questi fenomeni e agire per favorire una cultura del consumo consapevole che salvaguardi gli aspetti ludici e positivi, evitando gli eccessi e gli abusi;
fare un sondaggio tra i giovani e gli adulti che frequentano la parrocchia per capire da quali interessi è abitata la loro giornata e chiedere loro cosa sanno dell'uso del tempo libero dei loro amici e conoscenti;
presentare, intanto, il grave problema delle dipendenze da cellulari, Internet, videogiochi…, e discutere sulla ricaduta che tutto questo comporta a livello personale e sociale;
una volta individuate le persone che soffrono di queste dipendenze, accostarle, se possibile, e cercare di capire le ragioni che hanno causato queste scelte;
studiare i fenomeni di dipendenza e delle terapie relative, nelle varie componenti psicologiche, familiari, socio-sanitarie, legali, educative;
stimolare una cultura della prevenzione, promuovere attività di formazione, informazione e sensibilizzazione;
creare una rete di ascolto delle domande di aiuto (dirette e indirette) che sono riscontrabili sul territorio (per gli adulti), oppure mediante il coinvolgimento delle agenzie educative (per i minori);
promuovere iniziative di self-help, magari nella forma guidata;
attivare, per i minori, un'azione preventiva ed educativa specifica, nelle scuole, nelle agenzie educative, per la diffusione di una cultura e, conseguentemente, di un uso corretto di Internet e degli altri nuovi mezzi di comunicazione. E, possibilmente, utilizzando insieme a loro queste nuove tecnologie, mostrando il corretto impiego, senza limitarsi ad allarmare, a vietare...
sensibilizzare i genitori circa la loro responsabilità nella trasmissione dei significati, delle opportunità e dei rischi rappresentati dalle nuove tecnologie, spesso acriticamente messi nelle mani dei figli, quasi fossero oggetti neutrali, innocui;
diffondere una cultura adatta a riconoscere il problema in modo corretto, senza creare eccessivi allarmismi, o pericolose generalizzazioni, aiutando genitori ed educatori a riconoscere quando l'uso diviene "problematico" e quando sottostà alla categoria del "patologico";
stimolare le autorità competenti (ad es., quelle per le garanzie nella comunicazione), a tutelare gli utenti, ad esercitare le azioni di controllo, specie nei confronti dei minori.
Non tutto è negativoDue sono i poli di concentrazione dell'attenzione da avere: non sottovalutare il problema e non creare facili allarmismi.Pare si stia diffondendo una mentalità che sembra voler affermare il concetto che, bene o male, siamo tutti affetti da dipendenze patologiche e che le dipendenze che non coinvolgono l'uso di sostanze sono pericolose come altre.Talvolta, però, possono essere i criteri diagnostici a costruire la patologia e non viceversa. Non per nulla questo esplodere di malesseri riguarda strumenti tecnologici nuovi (telefonino, computer, videogames) e meno quelli vecchi. Se impedissimo a cento persone di usare la luce, acqua calda e riscaldamento, avremmo probabilmente qualche segno di modifica del comportamento, qualche segnale di nervosismo. Dipendenza da energia elettrica e termica?Se i ragazzi hanno i pollici che fanno male per spedire sms e giocare ai videogames, il problema potrebbe essere una cattiva ergonomia degli apparati che usano, e non la conseguenza di una dipendenza…L'agitazione dello spettro della dipendenza e della malattia mentale potrebbe essere efficace in tal senso. Contemporaneamente, tuttavia, (e forse senza volerlo) l'attenzione per il rischio di dipendenze patologiche da sostanze lecite e illecite diminuisce. Non per nulla queste sostanze si stanno trasformando in beni di consumo socialmente compatibili.
1.3 LA PAROLA CI INTERROGA
Mt 25,31-46
«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
È la descrizione del giudizio finale che avrà come unico criterio l'esercizio della carità. Qualcuno ha parlato di pagina laica, perché non ci sono accenni alla fede, alla preghiera, al culto. I giusti non sanno nemmeno di aver soccorso il Signore stesso nei bisognosi: «Signore, ma quando ti abbiamo visto….?».Credo che non si forzi il paragone se, a proposito dei problemi sopra descritti, inseriamo nella categoria dei "fratelli più piccoli" tutte le persone, giovani o adulte, che in qualche modo sono dipendenti dai nuovi mezzi di comunicazione.In questo testo evangelico, quello che conta sembra essere il puro gesto materiale di aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al carcerato, … al cyberdipendente.Va detto che, per comprendere questa pagina, dobbiamo cogliere in essa un insegnamento globale e un particolare aspetto polemico.L'insegnamento globale riguarda l'operosità della vita cristiana. Matteo scrisse il suo vangelo per una comunità che era tentata di parole vuote, di entusiasmi superficiali, senza impegnarsi seriamente nelle opere di carità.Da qui l'invito a non dire solo «Signore, Signore…», ma a realizzare concretamente la volontà del Padre. Anche questa pagina del giudizio finale va letta nella prospettiva di concretezza operosa.Da questo punto di vista c'è integrazione e non opposizione tra le opere della carità e le pratiche del culto.Tra le attenzioni che oggi la carità deve tenere presenti, va senz'altro inserita quella della cyberdipendenza e delle sue conseguenze, perché il vero «culto spirituale» di cui parla San Paolo è sintesi tra fede e vita.È così oggi nelle nostre comunità cristiane?

Wednesday, March 08, 2006

MASSIMA

LE PAROLE SONO COME LE PIETRE CHE IL VENTO TRASFORMERA' IN SABBIA......

a buon intenditor poche parole e soprattutto a chi si "arrabbia" facilmente....tutto si ridimensiona col passar del tempo